In San Pietro torna protagonista la «palma», ma è a rischio-estinzione
di Paolo Rico
di Redazione | 10 Aprile 2022 @ 18:21 | ATTUALITA'
«Corriamo per diventare vittoriosi; perché ascende veramente sulla palma (…) quello, in gara, che ha avuto successo».
Cantico dei cantici (Sapienza), tomo XI
Ricomparse oggi in san Pietro, nella Domenica delle Palme, le “parmurelu” di Bordighera (Im). Erano scomparse nelle cerimonie liturgiche al chiuso o ridimensionate dalle restrizioni igieniche dell’emergenza-covid. E proprio la palma ha rappresentato oggi il più evidente simbolo liturgico di “normalità”, ricondotta dallo spettacolare recupero della bella tradizione vaticana delle parmurelu (in dialetto ligure), esteticamente intrecciate, all’occorrenza, dalle creative mani delle florovivaiste e collaboratori del borgo del Ponente. Lì dove vegetano le datterifere più a Nord d’Europa. A Bordighera (Im) si può scoprire, d’altronde, anche il più esteso bioparco – 10mila mtq – di piante grasse d’Europa. Insomma, un’improbabile località subtropicale, che malcela, però, il grave rischio-estinzione, a cui sono purtroppo esposte un po’ dovunque le palme in Italia.
Patrimonio arboreo di tutto rispetto – per consistenza e per onorata carriera di datata sopravvivenza – ma da un decennio malauguratamente insidiata dal letale tarlo del rhynchophorus ferrugineus, noto ai più come “punteruolo rosso”, responsabile, appunto, di rapido deterioramento ed ingravescente distruzione delle piante. Comincia ad incidere l’apice dei palmizi e giù giù, irrimediabilmente, il punteruolo-killer corrode fino alle radici, per attaccarsi, infine, al fusto delle palme vicine.
La palma – in 2.600 specie (da noi ne conta su 12 principali) – è metafora di trionfo. Difatti in Italia costituisce una specie di trofeo per quei coltivatori, premiati per pazienza e cura, eccezionalmente necessarie per l’appunto a controllare il complesso e lungo sviluppo in verticale delle piante ornamentali. Eppure, pare se ne censisca qualche milione di esemplari: in giardini privati; parchi urbani; litorali cittadini lussureggianti; ma anche angoli di spontaneo rigoglio della palma. Pianta, che amerebbe siti sabbiosi senza disdegnarne di petrosi; pretende terriccio umido, ma non fradicio, e predilige un’esposizione occidentale al tepore, nonostante non manchino esemplari in posti d’altura.
Quasi come l’olivo, qui richiamato perché anche questo è tornato oggi a festeggiare la Domenica delle Palme in Vaticano. L’olivo della pace è accostato, nelle Scritture, alla palma, con cui accompagnò l’applauditissimo ingresso in Gerusalemme di Gesù sull’asinello, protagonista, con il bue, della nascita del Bambinello. E l’olivo – non meno di centomila ramoscelli – visto in s. Pietro stamane è un regalo pasquale al papa da parte delle comunità di produttori laziali, per lo più concentrati nel Viterbese. Olivo come palma, destinatari di una serrata lotta ai parassiti. Così, se l’uno muore di xylella fastidiosa Wells (si pensa immediatamente al Salento); la palma, si anticipava, ha mobilitato scienziati di mezzo mondo nel tentativo di mettere a punto una concertata quanto efficace terapia di contrasto al “punteruolo rosso”.
Il cui danno è subito chiaro quando si può constatare che un tronco di palma si sviluppa allorché il fogliame dell’apice ha raggiunto una certa dimensione. Quel che è preceduto da un’altra osservazione. Occorrono almeno 4 mesi di continuata esposizione alla luce per promuovere un germoglio: e poi l’attesa è di 4-6 anni, per veder salire ad 8-10 metri una palma. Le sue radici affondano così, per almeno 2 metri sotto il suolo irrigato, concimato, e ben trattato, in modo da assicurarne quell’invidiabile longevità media di un secolo e passa: 120-150 anni, per l’esattezza. A conferma del valore biotopico della Chamaerops humilis, la “palma nana di san Pietro”, la più diffusa nel nostro paese e, perciò, la più attaccata dal “punteruolo rosso”.
Sulla cui funesta iniziativa di erosione della specie non mancano accurati studi scientifici, che infittiscono ormai da un decennio: del ‘2010, infatti, la prima campagna nazionale di contrasto al killer della palma. Perciò, la disponibilità di talune interessanti attività organizzate di contrasto. Per lo più, occasionate dal coinvolgimento di scolaresche e di squadre di volontari, accomunate, invero, dall’”arma” operativa di lotta al “nemico”. A sorreggerle piuttosto il trasporto personale e di gruppo nel corrispondere ad un disegno di generale protezione ambientale.
Perché è in quest’ultimo comparto che si definisce la kultur delle nuove generazioni: agire secondo un preminente protocollo di di ecosostenibilità. Nel caso, le squadre di salvataggio delle palme malate si attivano per installare veri e propri moduli di feromoni, in grado di attrarre insetti capaci di sconfiggere il rhynchophorus ferrugineus. Intervento, che rientra in quel più vasto programma di ricorso ai marcatori biologici – sicuramente non inquinanti quanto gli aggressori chimici e artificiali – interpreti “orizzontali”; equipollenti; della stessa natura degli agenti da stroncare. A consacrarne il successo fu dapprima una disinfestazione di 3mila palme a Sanremo; poi, di qualche centinaio a Palermo e di un consistente stock di piante in via di estinzione in talune stazioni climatiche toscane. Nel caso ligure si è proceduto, inoltre, ad un piano di risanamento tramite l’asportazione delle parti ko: un intervento di dendrochirurgia eseguito con tale acribia da stupire gli stessi autori dell’innovativa operazione.
Ma a Palermo l’iniziale successo è stato quasi subito annullato da una successiva reinfezione delle palme. Conferma che scorrette attività umane influiscono pesantemente sugli ecosistemi. Perciò, la diffusione delle specie esotiche; la conservazione e la tutela di quelle autoctone; gli appetiti economici sono un unicum e come tale vanno gestiti, senza confonderne le tipicità e le esigenze. Quasi prima regola di un corretto comportamento dell’ecotutela.
tratto da CENTRALMENTE, domenica 10 aprile 2022, rubrica: Educazione/Ambiente