Le mura dell’Aquila: “alte cinque canne, sono larghe ben sei palmi”

di Isabella Benedetti | 26 Febbraio 2022 @ 06:00 | Punti di svista
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Le mura dell’Aquila sono “alte cinque canne, sono larghe ben sei palmi” (l’equivalente di undici metri di altezza, per un metro e mezzo di larghezza), scriveva Antinori nelle sue “Cronache Aquilane”. Si snodano per quasi sei chilometri e, probabilmente, si vedono anche dal satellite, come la muraglia cinese, ma noi aquilani, della caratura monumentale delle nostra mura, non avevamo consapevolezza o, perlomeno, la giusta considerazione. Per troppo tempo, le mura sono state simbolo di degrado ambientale e sociale, per troppi anni, sono state territorio desolato di gatti e cani randagi e di vite piegate alla droga. Finalmente, un primo lungo tratto della cinta muraria è tornato in vita, grazie ad un bel lavoro di ripulitura e restauro, voluto da un “illuminato” team di tecnici. Le mura, dopo il sisma del 2009, riaperti i varchi e tranciati legacci e vegetazione, sono ancora lì a testimoniare la storia, a consolidare lo status di “magnifica citade”, ad abbracciare la popolazione, quasi a trattenerla perché questa non sciami altrove, abbandonando le case ferite. Anche se andiamo via, il dolore, purtroppo, ci segue. Per chiunque abbia vissuto i tragici eventi del sisma, ogni rumore, ogni vibrazione è terremoto, un tremore fisico, un moto più profondo dell’anima, che ci scuote ovunque ci troviamo al mondo. Sradicarsi è un po’ perdere la propria identità.

Sandro Zecca è un aquilano autentico, che si sente parte integrante della città. Non ha abbandonato la sua casa in centro storico neanche durante l’emergenza, non avrebbe potuto vivere altrove. Membro dell’ Archeoclub e del gruppo di azione civica Jemo ‘Nnanzi, è un cultore appassionato della storia dell’Aquila. Da anni trasmette il suo bagaglio di conoscenza sulla città alle scolaresche e a chiunque voglia ascoltare. Passeggio con lui a ridosso delle mura e a ritroso nel tempo. “La storia, tristemente, si è ripetuta”, mi ricorda. Intorno al 1350, L’Aquila, appena edificata, subì un terremoto devastante che distrusse chiese, abitazioni e gran parte della cinta muraria. Regnava una grande desolazione e si respirava un pesante clima di incertezza. I cittadini pensarono che la città non si sarebbe ricostruita, molti decisero di spostarsi a vivere nel contado. Preoccupato dalle conseguenze di un esodo di massa, il Conte Lalle Camponeschi dispose la realizzazione di una palificata, “sticcati de bono lename grosso, multo ben chiovati”. In questo modo la città restò chiusa. Gli aquilani, peraltro, avevano vissuto questo terremoto come una punizione divina. Dopo il sisma del 1315, la popolazione aveva fatto promessa solenne di realizzare un tempio nel locale di Machilone, che venne però disattesa.

E’ noto a tutti che le mura erano state edificate a scopo di protezione, con il tempo assunsero anche ad una funzione amministrativa con il pagamento del dazio alle porte d’ingresso. Intorno alle mura c’era tanta vita, come ricorda Sandro Zecca, l’apertura e la chiusura delle porte scandivano i tempi dell’attività lavorativa e sociale. Fonti storiche riportano che le mura, anticamente, furono scenario anche delle pene capitali.

Un tratto, che possiamo individuare nella zona di Sant’Andrea, era triste luogo di decapitazioni.

Le pene, all’epoca, dovevano essere esemplari, di una efferatezza che andava oltre il macabro, come si direbbe ora “overkilling”, un primitivo deterrente per arginare la delinquenza. Suggestione popolare vuol vedere macchie di sangue fra quelle pietre (in realtà è scolatura di materiale ferroso). L’unica cosa che si vede realmente è un bellissimo panorama di qua e di là dalle mura. L’Aquila tante volte è stata ferita e tante volte è risorta dalle sue ceneri come l’araba fenice. Oggi, nel tempo dell’inclusione e dell’accoglienza, le porte d’ingresso sono sempre aperte perchè tanti possano venire ad ammirare la città, perchè la gente scelga di rimanerci a vivere.

Quelle mura che tanto hanno visto e sofferto sono scrigno prezioso di tesori ancora più preziosi, sono il packaging elegante che prelude ad un regalo di valore.


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