[di Andrea Mori, IlCentro] – Zamberletti: poteri ai sindaci, espropri e una struttura speciale d’aiuto.
Giuseppe Zamberletti quattro mesi fa al Centro aveva definito “anomala” la strada del commissariamento che l’Abruzzo aveva scelto di seguire per la ricostruzione del dopo sisma. Oggi che il governatore-commissario Gianni Chiodi ha annunciato di voler passare la mano ai sindaci del cratere, il fondatore della Protezione civile – che da commissario del governo ha gestito i terremoti del Friuli (1976) e dell’Irpinia (1980) – può dire “era ora”: «Quando incontrerò Chiodi, e spero di averne occasione, gli stringerò la mano come sempre perché è una persona corretta, ma gli dirò anche che avrebbe dovuto pensarci prima a togliersi le vesti del commissario. In Friuli l’impianto per l’emergenza durò, più o meno 5 mesi. Poi furono dati ampi poteri ai sindaci. Fu un passaggio fondamentale per la ricostruzione e ritengo che lo sarà anche per L’Aquila. Malgrado i ritardi».
Zamberletti, ex deputato dc, oggi 79 anni, non a caso è considerato l’inventore del modello Friuli. In quel terremoto (mille vittime, 100mila sfollati, 18mila case distrutte, danni per 18milioni di euro), avviò il progetto-pilota per la ricostruzione partecipata che cercò di adottare anche in Irpinia. E che ancora oggi L’Aquila insegue.
Onorevole, è d’accordo che la fine del commissariamento segna un svolta?
«Certo, l’idea di dare potere ai sindaci è fondamentale. Quando l’ho adottata al Sud tutti pensavano che fosse meglio proiettare le autorità da Roma. Io mi opposi e quei sindaci si comportarono in modo mirabile smentendo certi luoghi comuni».
>Che cosa cambia nel sistema della ricostruzione?
«Cambia che a un sistema monolitico e burocratico pubblico si sostituisce un’organizzazione più fluida e dinamica, diciamo, a carattere “misto” pubblico-privata. Con la divisione, per quanto riguarda la ricostruzione nei centri storici, in comparti del territorio, in zone cioè più o meno estese come un quartiere».
Andiamo per gradi, cominciamo dai sindaci: che cosa dovranno fare?
«Nelle mie esperienze i sindaci sono stati i responsabili del coordinamento della ricostruzione, si occupavano delle gestione dei fondi da dare ai privati e quindi dei budget da richiedere al governo attraverso la Regione».
La Regione quindi c’entra sempre nella ricostruzione.
«Sì, solo nel ruolo di intermediazione. Mi spiego. La ricostruzione avviene per comparti. Ma lì dove la situazione diventa complessa per motivi tecnici o di disaccordo fra i privati, interviene il sindaco che espropria provvisariamente l’area interessata dai cantieri per restituirla ai legittimi proprietari una volta terminati i lavori».
Un espoprio forzato per velocizzare i tempi. E la Regione?
«I sindaci erano supportati da un ufficio tecnico centrale, la segreteria generale della Regione, che interveniva di fronte a problemi complessi che altrimenti avrebbero fermato i lavori. I sindaci potevano chiedere aiuto a questa struttura speciale per realizzare così una regia unica per la ricostruzione».
Che cos’ha di diverso questa struttura speciale della Regione dall’attuale struttura dell’emergenza, Sge, del commissario?
«Innanzitutto è una struttura prevalentemente tecnica con grosse competenze, composta da ingegneri e altri professionisti che ha il compito esclusivo di dare una mano ai sindaci nel risolvere i problemi tecnici-urbanistici e di calmierare i costi. E’ un ufficio che aiuta i sindaci a portare avanti gli espropri provvisori e a dirimere i contrasti fra cantieri e a costruire secondo norme stabilite».
Anche in Umbria la ricostruzione ha proceduto attraverso i comparti.
«Sì, ma lì non c’è stata la mano del pubblico. Era in mano ai privati. Il modello Friuli vuole invece il sistema misto che consente di gestire al meglio la ricostruzione su vasta scala. Anche perché nell’esclusivo ruolo di mediatore Stato-sindaci-Regione di questa struttura centrale c’è sempre un politico. In Friuli ricordo che è stato il sindaco di Gemona che è poi diventato assessore regionale. Sia ben chiaro, ogni operazione di ricostruzione resta e deve restare in mano ai sindaci».
In Friuli, quanto tempo dopo il terremoto venne avviata questa struttura?
«Iniziò ad operare con la realizzazione della case provvisorie e con l’attivazione degli investimenti industriali post-sisma che avrebbero evitato lo spopolamento».
Il lavoro, il problema sociale dell’Aquila.
«Se c’è è perché non si è pensato a come trattenerlo e quindi ad investire. Io fui molto criticato per questo, per aver sperperato fondi pubblici, oggi mi ringraziano».
Il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, ha detto che nel 2014 può terminare l’emergenza. E’ d’accordo?
«Me lo auguro, penso di sì. In due anni si può fare molto, esclusi i centri storici che sono molto più complessi. Mi ricordo di Onna. Ecco il centro storico di Onna non credo che possa essere ricostruito in due anni».
Il ministro Barca, in visita all’Aquila, ha espresso perplessità su come ricostruire il centro storico. Ha detto che ci vuole “un colpo d’ali”.
«Guardi, il nostro motto è stato “ricostruire dov’era e com’era”. Di certo non si può lasciare un centro storico fantasma. Siamo nel 2012, ci sono strutture abitative centenarie che vanno riviste e adeguate alla tecnologia. Se lei va in Friuli vede che i bar sono stati tutti ricostruiti conservando esteriormente la struttura, dentro invece sono modernissimi».