di Marianna Gianforte, Il Centro – I progetti Case la sera si spopolano. Non ci sono servizi per bambini e anziani. Una nostra cronista è andata vedere come vive la gente “dispersa” dal 2009.
Si sta come «le nuvole», poggiati in attesa che qualcosa accada, davanti a una cosiddetta «Tenda Amica», o seduti su un maricapiede, alla finestra a fumare una sigaretta, o scalzi semi-sdraiati su un prato. La sera, nei quartieri delle new town, meglio conosciute come case di Berlusconi, quelle costate qualcosa come 800 milioni di euro, la vita viene inghiottita in un buco nero, anche in un venerdì sera di mezza estate.
Le vedo stagliarsi contro la montagna ordinate e quasi imponenti le new town del post-sisma. Decido di partire da quella molto popolata di Bazzano per capire se è vero, come dicono in tanti, che queste piccole città sono quartieri dormitorio. Mi faccio accompagnare da un’amica. Nel quartiere di Bazzano ci sono stata l’ultima volta un anno fa, a settembre, per l’inaugurazione in pompa magna dell’asilo donato dalla Fiat. C’erano, anche l’amministratore delegato Sergio Marchionne eil presidente John Elkann. Sembrava che tutto fosse possibile, quel giorno: che la vita potesse svolgersi normale pure là dentro, tra le 19 «piastre» che compongono il progetto Case. E invece scopro che quell’asilo funziona solo a metà: solo la materna, il nido è chiuso.
Parcheggiamo in uno spiazzo in via Fabrizio De Andrè. È tutto buio, tranne che intorno alla Tenda Amica. Ci trovo Luciana Tomei, 63 anni, due suoi coetanei che non vogliono lasciare il nome, Larissa Marinca, 17 anni, e un bambino di 9 con una T-shirt con su scritto: «Che sogno ragazzi! Don Bosco L’Aquila».
«Cosa facciamo la sera qui? Nulla, guardiamo laggiù», mi risponde Luciana alla mia prima banalissima domanda, indicandomi l’orizzonte buio. E poi si sfoga. «Penso che fare una vita decente significa tornare alla normalità della mia casa e rifare la vita che da tre anni mi è stata tolta», dice, mentre la sua amica annuisce. Luciana abitava a Valle Pretara: casa gravemente danneggiata dal sisma. «In questo progetto Case vivo momenti belli solo nella Tenda Amica, grazie a un grande uomo che è don Antonio», racconta. «Noi collaboriamo con varie iniziative. Ma manca tutto, soprattutto per i bambini e per le persone anziane». «Abbiamo chiesto una chiesa e un centro sociale, ci sono stati promessi da tre anni», dice rassegnata, «ma finora niente!».
E così, dentro la Tenda Amica si dice la messa e si gioca a biliardino, si svolge il centro estivo e si fanno i cenoni di Capodanno, si gioca a carte e si discute. Tutto dentro una tenda che rischia di crollare sotto il peso della neve d’inverno e di squagliarsi sotto il sole d’estate.
Ci spostiamo nel quartiere di Paganica. Sono le 23,30, non è tanto tardi. La vita dovrebbe esplodere in una bella serata come questa. E invece non c’è nessuno, nemmeno un gatto, un cane, una coppietta. Seduti su un prato al buio, tre operai albanesi: Ermir Rraboshta, 24 anni, Lika Beskih, 34 e Skendeh Rholosta, 59. Di loro lavora solo il 24enne. «Qui si sta così», dice Lika, «come le nuvole». Poco distante, incuranti del buio, un gruppo di bambini corre e s’insegue nascondendosi tra le macchine. Ma il parco giochi resta vuoto.