Un racconto di pietra nella prima capitale d’Italia: San Pelino a Corfinio
di Fausto D'Addario | 26 Marzo 2023 @ 05:10 | I LUOGHI DELLO SPIRITO
Un racconto di pietra nella prima capitale d’Italia: San Pelino a Corfinio. Un vero e proprio racconto di pietra, quello che si dispiega a Corfinio, uscito dalle sapienti mani della scuola benedettina: una presenza che ha punteggiato di bianco i monti e le valli d’Abruzzo in una foresta di chiese. La passione d’innalzare basiliche e conventi ricchi di pitture e sculture fu sempre viva negli Abruzzi.
In occasione delle Giornate FAI di Primavera, la visita di oggi ci porta a Corfinio, città fondata dai Peligni e poi municipio romano, che tanta parte ebbe nella guerra sociale dei popoli italici (90-89 a.C). Riuniti in una lega, tentarono di opporsi alla crescente egemonia romana e fecero sorgere la loro capitale proprio a Corfinium, fortificandola e ribattezzandola Italia: qui venne coniato il nome che diventerà poi quello della nostra nazione. La mano vendicatrice dei romani non si fece però attendere: dopo le prime vittorie, la lega fu sconfitta e la città, rasa al suolo, tornerà a chiamarsi Corfinium, toponimo che, da quei lontani eventi, è giunto fino ad oggi.
Ma non senza altri cambiamenti. In tarda età imperiale la città cambiò nome in Valva, a indicare non più una lega, ma una diocesi. Con la conquista longobarda nei primi secoli del Medioevo, Corfinio divenne centro di un importante gastaldato. Decaduta, nell’XI secolo risorse grazie all’opera di Trasmondo, vescovo di Valva ed abate di S. Clemente a Casauria e fu nota con il nome di Pentima, nome che manterrà fino al 1923. L’abate Trasmondo non era proprio l’ultimo arrivato: figlio di Oderisio, conte dei Marsi e fratello di un altro Oderisio, abate di Montecassino e di Attone vescovo di Chieti, è un uomo ambizioso. Fonda la città fortificata di di Pentima, sulle rovine dell’antica Corfinium, con l’appoggio del papa riformatore Gregorio VII, anche lui, prima di salire al soglio pontificio, monaco e abate a Roma nel monastero di San Paolo. Nel 1074 Gregorio VII nomina Trasmondo vescovo di Valva: Trasmondo veniva già da una discussa esperienza di abate alle isole Tremiti, dove sorgeva un monastero che era alle dipendenze di Montecassino. A causa di una ribellione dei monaci delle isole, Trasmondo fece cavare gli occhi a tre monaci, a uno taglia la lingua. L’allora Ildebrando, futuro papa Gregorio VII, approva e giustifica l’intransigente reazione.
Giunto a Corfinio, restaura e rinnova infatti l’antica cattedrale di Valva, dedicata a San Pelino e vi fonda accanto il castello di Pentima. Viene fatta risalire al 1075, per volontà dello stesso vescovo, la chiesa di Sant’Alessandro, sorta prima del completamente di San Pelino, per ospitare le reliquie di Papa Alessandro I. È la compresenza di due diverse chiese a rendere unico questo complesso sacro: la cattedrale dell’antica diocesi di Valva, la basilica di San Pelino e l’oratorio di Sant’Alessandro, probabilmente parte di una chiesa non terminata – non sarebbe altro che il solo transetto senza la navata – notevole per il bizzarro torrione quadrangolare e la necropoli rinvenuta all’interno.
Nella cattedrale valvense lavorarono le abili maestranze benedettine, con uno stile che si ritroverà in monumenti coevi e successivi. L’opera dei benedettini si riconosce nella pianta basilicale, nella divisione dell’aula in tre navate sorrette da alti pilastri e scanditi da arcate; il presbiterio si innalza con tre archi trionfali, a formare la naturale prosecuzione dell’aula. Lo spazio interno, rimodernato secondo il gusto barocco tra il 1682 e 1704, è stato ripristinato durante i restauri degli anni 1960-71, eliminando significativamente la cupola.
L’interno, spoglio di qualsivoglia decorazione, è illuminato dalla luce che si rifrange sulle pareti di pietra liscia. L’occhio trova presto, verso il transetto, il maestoso pulpito del XII secolo. Nonostante le ricomposizioni successive e alcune perdite di frammenti, il pulpito valvense rimane un capolavoro. Quattro colonne sormontate da eleganti capitelli corinzi sorreggono gli architravi monolitici: la fronte principale è rivolta verso la navata centrale, con il semicilindro a colonnine destinato ad ospitare il lettore. Fiori dagli essenziali lineamenti geometrici e intrecci vegetali ornano discretamente il luogo dove fiorisce la parola di Dio.
Di notevole valore anche gli affreschi, dipinti a più riprese tra il XIII e il XVI secolo; spiccano l’estasi di San Francesco di fine Duecento e una Crocifissione dei primi decenni del ‘400. Si stagli imponente la figura di Sant’Antonio da Padova accostata, forse del Maestro di Caramanico, misterioso pittore abruzzese di fine Quattrocento
La navata centrale è conclusa da un’abside poligonale, in pietra giallastra, che all’esterno è divisa in quattro fasce movimentate da colonnine, lastre scolpite e finestre. Arcatelle, forme animali e motivi floreali in una rigorosa stilizzazione geometrica, che farà scuola nell’arte abruzzese per molto tempo. Splendida la visione delle absidi in aperta campagna, visto che San Pelino sorge fuori dall’attuale abitato. San Pelino fu uno dei più importanti centri di irradiazione della cultura monastica, dove gli stilemi lombardi e meridionali seppero fondersi con gli elementi classici in modo originale.
Come riportato sul sito del FAI, al tramonto, tra i resti dei Mausolei di Corfinio – i “Morroni” – i raggi del sole generano un suggestivo “legame di luce”, che indica l’ingresso della stagione primaverile. Si proverà a osservare il fenomeno, in caso di condizioni meteorologiche favorevoli, sabato 25 marzo ore 17 e – considerando l’entrata in vigore dell’ora legale – domenica 26 marzo ore 18.