Tra divieti e sanzioni penali, i rischi del lavoro nero ai tempi del Coronavirus
di Redazione | 27 Marzo 2020 @ 07:04 | ATTUALITA'
L’AQUILA – A seguito dei recenti avvenimenti legati all’epidemia da Coronavirus, sono emerse una serie di complicanze anche nel mondo del lavoro. Non tanto quello contrattualizzato ma quello in nero, che pur rappresentando una vera e propria piaga sociale per tutto il Paese, secondo le stime più recenti, riguarderebbe circa 1,5 milioni di persone.
Persone che ovviamente non saranno raggiunte dalle misure governative più recenti e che, proprio per questo, saranno costrette a rinunciare a quella che spesso rappresenta l’unica fonte di sostentamento per se stesse e per la propria famiglia o addirittura a recarsi illegalmente sul proprio posto di lavoro, col rischio di incrementare il contagio e incorrere in spiacevoli inconvenienti legati alle limitazioni imposte in tema di circolazione. Tra questi, multe salate, sanzioni penali e addirittura la galera.
Il decreto Cura Italia firmato il 17 marzo scorso non prende infatti nemmeno in considerazione i lavoratori in nero. Tanto che lo stesso ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Giuseppe Provenzano, è recentemente intervenuto sul tema in un’intervista per il quotidiano Il Corriere della Sera affermando l’obbligo, da parte dello Stato, di predisporre particolari misure universalistiche, nell’eventualità di un prolungamento della crisi in atto.
Un problema, questo, che riguarda anche moltissimi lavoratori aquilani e che secondo Rita Innocenzi, della segreteria Cgil Abruzzo e Molise “è in realtà sempre esistito e, con l’emergenza sanitaria, si è semplicemente aggravato”.
“Tutte le misure che sono state messe in atto e di cui si sta ancora discutendo in questi giorni – dice a L’Aquila Blog – fanno riferimento esclusivamente ai lavoratori regolari. Ciò che ne consegue è che la persona che subisce il lavoro nero si trova in questo momento ad essere completamente estromessa dal sistema produttivo”.
Il lavoro nero non dovrebbe infatti esistere per legge, ma soprattutto al Sud e nelle aree interne, rappresenta in realtà una considerevole fetta di Pil, in quanto più che una scelta, spesso è per le persone l’unica alternativa possibile.
Pensiamo ai braccianti nei campi del Mezzogiorno, sfruttati e non regolarizzati, alle colf e alle badanti che in questo periodo stanno soffrendo la condizione emergenziale, o agli operai che anche in questo periodo accettano condizioni di irregolarità per poter arrivare a fine mese, ma che vengono messi a lavorare in assenza di ogni tipo di tutela securitaria o economica. Sono vittime anche loro e, nella situazione di emergenza da Coronavirus, rischiano anche di mettere a repentaglio la propria salute.
“Anche i richiami e le esortazioni a rimanere a casa di cui tanto sentiamo parlare in questo periodo – aggiunge la segretaria della Cgil – non fanno altro che accentuare tantissime situazioni di disagio e anormalità, soprattutto per quelle persone che vivono ai margini della società e per cui il sistema di sostegno pensato dal Governo dal risulta essere elitario”.
A conferma delle parole di Rita Innocenzi i tanti lavoratori che quotidianamente si trovano costretti a recarsi a lavoro, nonostante l’assenza di specifiche forme di tutela.
Tra questi un operaio carrozziere aquilano che preferisce rimanere anonimo e che racconta come sia diventato difficile “spostarsi da un luogo all’altro, percorrendo strade alternative rispetto a quelle consuete per evitare di incappare nei posti di blocco sparsi per la provincia aquilana”.
“Essere obbligati a lavorare illegalmente è già di per sé difficoltoso, figuriamoci adesso – afferma -. In tutta sincerità, se le forze dell’ordine dovessero fermarmi per strada non saprei nemmeno che scusa inventare. So anche di persone multate solo perché, uscendo da lavoro, sono andate a fare la spesa al supermercato più vicino piuttosto che recarsi a quelli situati nei comuni di appartenenza e, nel caso in cui dovesse succedere a me una cosa simile, mi toccherebbe anche sborsare una somma di denaro che posso permettermi di pagare”.
“Non sto dicendo di pretendere chissà che cosa – precisa -, anzi per certi versi mi ritengo un privilegiato visto che tante persone un lavoro nemmeno ce l’hanno ma, in una situazione come questa, se ci fosse un contratto a tutelarmi mi sentirei più tranquillo. Sia per me che per la mia famiglia. Anche perché il mio stipendio è l’unica entrata fissa che abbiamo e che ci permette di mangiare e pagare le bollette a fine mese”.