Foto di Luigi Baglione – E’un rito antichissimo, che si rinnova ogni anno nella notte tra il 30 aprile ed il primo maggio. Un gruppo di giovani taglia un albero, ”ju calenne” che poi, una volta spogliato di tutti i rami tranne quello sulla punta, viene piantato prima dell’alba nel sagrato della Chiesa Parrocchiale. Il proprietario ha il diritto di rientrare in possesso della pianta solo se sorprende le persone nella fase del taglio o del trasporto sulla sua proprietà; inoltre il proprietario può reclamare il diritto sulla pianta qualora non sia stata innalzata prima dell’alba. C’era un modo molto originale per stabilire l’ora dell’alba: si presentavano davanti al proprietario venuto a reclamare l’albero, persone di sua conoscenza, ad una distanza di cento passi: se venivano riconosciute era l’alba. L’albero veniva tolto il 31 maggio, venduto all’asta ed il ricavato andava alla Festa di Sant’Antonio.
Alla viggilia degliu primu ‘e maggiu,
quanno che sse raccorcino le notti,
calea agliu riu ‘na squadra ‘e joanotti
pe’ recapà tra j’alini, agliu raggiu
‘e luna, ju chjù àutu. ‘Na sosta.
Via, coll’accette! E come ‘nu gigante
caschea tra lo sfruscià dell’are piante,
‘Na scamollata, e vvia, su ppè lla costa.
E sopre agliu rengastru della chiesa
quiju che jea alla missa la matina
tra ji bongiorno e lo sona distesa,
chju àutu della torre e chjù solenne
( de chi bbò scia?), cò ddu ramitti ‘n cima,
vedea piantatu ‘na derra ju calenne.