«Nel centro storico, prima del terremoto, vivevano circa ventimila persone. In tutta l’Aquila, abitavano in settantamila». Oggi, in quello che era il cuore pulsante della città, ci vivono poche centinaia di persone. «Solo i proprietari di pochissime abitazioni sono tornati a casa loro. In periferia è stato restaurato il novanta per cento degli edifici, in centro sette palazzi in totale. L’ottanta per cento degli stabili della zona rossa è ancora distrutto o inagibile, e non ci sono i fondi neanche per le demolizioni. Quei pochi che sono tornati, si trovano completamente isolati, fra la polvere dei cantieri e gravi problemi di ordine pubblico: molte delle case danneggiate sono aperte, e vengono violate e vandalizzate, senza che nessuno fermi questo degrado». Maria Cattini è una giornalista romana, trapiantata all’Aquila. Due anni fa, ha fondato “Laquilablog”, giornale online che si occupa soprattutto delle notizie che riguardano il capoluogo abruzzese, con un’attenzione particolare alla ricostruzione post-sisma.
Il popolo delle carriole, durante una manifestazione del 2010, per protestare contro la gestione della ricostruzione de l’Aquila.
Sono passati cinque anni dal 6 aprile 2009. Cinque anni in cui non si è fatto abbastanza, in cui si è aspettato, si è sprecato tanto e ci si è mossi con colpevole ritardo. «Da poche settimane, il Tar ha sbloccato i fondi per il primo lotto di lavori del tunnel dei sottoservizi (acquedotto, fognature, reti elettriche e telefoniche), che attraverserà l’asse centrale. Si tratta di lavori che andavano fatti almeno tre anni fa, lavori primari e fondamentali per far ripartire la città, per creare una smart city. Invece iniziano cinque anni dopo, con l’eventualità che il nuovo cantiere possa ostacolarne altri, aperti lungo quella direttrice, o che debba essere bloccato a sua volta». La città viene ricostruita a macchia di leopardo, senza una pianificazione organica, senza un criterio riconosciuto e riconoscibile. «Dal giugno del 2010, diversi interventi suggerivano che, per ridare vita al centro storico, si sarebbe dovuto iniziare dal restauro degli edifici pubblici. È stata una scelta dettata dalla convinzione che, riaprendo i luoghi di lavoro, la gente sarebbe tornata a vivere la città. Oggi solo la Banca d’Italia e la sede di un’altra banca sono state recuperate e utilizzate. Si sono insediate anche l’agenzia delle entrate, la prefettura e la sede del teatro stabile d’Abruzzo. Tutti gli altri edifici sono rimasti al 6 aprile 2009. In tanti se ne vanno. I giovani sono i primi. Mentre, chi se lo può permettere, medici, avvocati e altri professionisti, si trasferisce in altre città, ad esempio Pescara, e fa il pendolare. Lavorano qui, e spendono altrove». Lo spopolamento è un problema reale. Sono in centinaia a chiedere la liquidazione della propria abitazione, prevista dalla legislazione sul sisma, per ricomprare casa altrove. L’Aquila rischia di diventare una città fantasma.
Come se non bastasse, i soldi per l’emergenza sono stati spesi, in larga parte, per costruire i diciannove nuclei abitativi del famigerato progetto Case, ad est e ad ovest del centro, quindi in periferia, e i primi fondi per la ricostruzione del centro storico sono arrivati solo nel 2013. «Le ristrutturazioni, in periferia, sono al novantacinque per cento. Ma i quartieri, come prima del terremoto, sono quartieri dormitorio: rimangono senza servizi, con un traffico caotico e una perdita di valore immobiliare notevole, perchè non si sta ricostruendo con le tecniche antisismiche più aggiornate e con risparmio energetico di classe A. Il tessuto sociale si potrebbe ricomporre, se solo avessimo una classe politica decente e preparata. Ma questa, purtroppo, è lo specchio della cittadinanza, una cittadinanza che non è più nemmeno rassegnata. Si vive senza alcun progetto individuale e collettivo, i giovani vanno via, e, sia la popolazione, sia la classe politica sono vecchie e usurate. L’unico stimolo è venuto dal popolo delle carriole nel 2010 e, oggi, viene dall’assemblea cittadina e dal consiglio civico, in cui i cittadini si ritrovano, cercando di impedire che l’Aquila cada nel dimenticatoio, e che si speculi sulla ricostruzione». A risentire della situazione, più che ingarbugliata, è anche l’economia cittadina. «Solo il trenta per cento dei negozi che erano nel centro sono oggi aperti, mentre molti continuano a chiudere. L’economia è ridotta ai minimi termini. Sono più le aziende che chiudono i battenti, o mettono in cassa integrazione, rispetto a quelle, sempre più rare, che fanno richiesta di insediamento nel nucleo industriale: una sola negli ultimi tre mesi».
I tubi innocenti, il sistema di puntelli utilizzato per tenere in piedi gli edifici danneggiati dal sisma, costato sinora circa duecento milioni di euro.
Oltre che per la ricostruzione della periferia, praticamente una scelta politica, molti milioni di euro sono stati spesi per mettere in sicurezza gli edifici pericolanti del centro storico: monumenti, case private ed edifici pubblici. I puntellamenti hanno portato via circa duecento milioni di euro. «È stata una spesa esagerata: uno dei nodi dei tubi innocenti, a Roma, costa meno della metà che all’Aquila. Soltanto per tenere in piedi la scuola elementare “De Amicis”, si è affrontata una spesa di mezzo milione di euro. La vera assurdità è che i puntellamenti esistenti, cinque anni dopo, richiedono manutenzione, e questo provoca ulteriori costi. Il Comune sta provvedendo al monitoraggio economico, ma incontra grandissime difficoltà».
Un altro punto cruciale della ricostruzione, è quello che riguarda i beni architettonici e i monumenti, numerosissimi, che l’Aquila custodisce. «Ad oggi, una sola chiesa è stata restaurata. Per la chiesa delle Anime Sante e per quella di san Marco sono appena iniziati i lavori. Sono agibili soltanto l’auditorium di Renzo Piano e le novantanove Cannelle. A breve terminerà il restauro della fontana luminosa. Il resto del patrimonio aspetta ancora di essere ripristinato. Questo penalizza ovviamente anche il turismo, che potrebbe essere una rampa di lancio, ma che è affidato al caso», come affidata al caso sembra essere la ricostruzione di quello che dovrebbe essere il fulcro dell’intera regione, e che invece, da cinque anni, è un deserto.
Una mappa della zona rossa dell’Aquila, che comprende gran parte del centro storico.
di Matteo Ricevuto, http://popoff.globalist.it