Storie di Giustizia. L’importanza della Memoria
Presentato il docufilm 'Le crepe della giustizia'. Il giudice Marco Billi: "Vi spiego perché quello alla Grandi Rischi non è stato un processo alla scienza"
di Michela Santoro | 07 Aprile 2023 @ 05:00 | ANNIVERSARIO
L’AQUILA – Storie di Giustizia. L’importanza della Memoria. “Un evento organizzato non dai familiari delle vittime visti come casta o categoria sociale a parte o come entità differente dal resto della cittadinanza, ma come evento voluto dalla Città”.
Così Federico Vittorini che, ieri, ha moderato l’incontro ‘Storie di Giustizia. L’importanza della Memoria‘, tenutosi al Ridotto del Teatro Comunale.
“Dopo quattordici anni, – ha dichiarato Vittorini – è il momento di concentrarsi; c’è bisogno di parlare di temi sensibili, di andare verso il futuro a testa alta, guardando oltre il dolore, oltre il lutto che ognuno di noi vive dentro le proprie mura. Non è più l’anno dopo il terremoto, non è più quello stato emozionale.
Credo sia importante gestire l’anniversario del 6 aprile in maniera matura a livello di comunità come forse non è mai stato fatto fino ad ora, da comunità”.
L’ evento organizzato in due parti, ha visto prima la presentazione di ‘Le crepe della giustizia‘, un docufilm che, come lo ha definito Vittorini, “non vuole puntare il dito contro nessuno ma ha l’obiettivo di narrare quello che è successo all’Aquila, attraverso i processi che l’hanno vista protagonista”.
La seconda parte dell’evento, ha dato voce al Comitato nazionale ‘Noi non dimentichiamo‘ espressione dell’unificazione di varie associazioni che sono nate sul territorio nazionale accumunate dalla parola ‘strage’ e da quanto è rimasto irrisolto dal punto di vista giudiziario.
Ospiti dell’evento: i curatori del documentario Rita Innocenzi, Alessandro Tettamanti e Alessandro Chiappanuvoli cui hanno preso parte, oltre allo stesso Federico Vittorini, anche Agnese Porto, Matteo Di Genova e il regista Stefano Ianni; il giornalista Rai Alberto Orsini; il giudice Marco Billi; il dott. Vincenzo Vittorini; la psicologa Ilaria Carosi; il magistrato Claudio Di Ruzza e i membri del Comitato.
Un minuto di silenzio in ricordo delle vittime del terremoto e di Antonietta Centofanti e poi la parola di nuovo a Vittorini:
“Abbiamo voluto fortemente questa iniziativa perché vogliamo partire dall’importanza di ‘fare memoria‘. Fare memoria significa lasciare alle nuove generazioni che non hanno conosciuto il terremoto, un qualcosa di concreto e fruibile affinché il futuro possa essere, con tutti gli errori che ci saranno, propri del percorso umano, anche solo un granello più giusto.
Un futuro di una ricostruzione che non sia solamente materiale ma anche del tessuto sociale che, dopo quattordici anni, forse, è ancora un po’ in secondo piano”.
“Se c’è una cosa che mi è sempre più chiara – ha affermato Rita Innocenzi prima della proiezione del teaser del docufilm – è che questo non è il tempo degli individualismi.
Le comunità, quelle resilienti, sono tali e segnano la storia per il loro sapere agire e reagire come collettività, come abbiamo fatto noi all’indomani di una sentenza, ritrovandoci insieme ad una manifestazione alla Villa Comunale.
Abbiamo scelto di condividere questo percorso con la comunità aquilana per raccontare ciò che è stato in questa nuova vita, quella iniziata all’indomani del 6 aprile 2009, ciò che ci ha contraddistinto, non mediante opinioni ma mediante i fatti oggettivi scaturiti dagli atti giudiziari, per lasciarne memoria non solo alla comunità aquilana ma anche a questo Paese”.
“Abbiamo prodotto una prima bozza di quello che vuole essere un progetto di docufilm – ha poi dichiarato Alessandro Tettamanti – che ha un’aspirazione importante, ovvero raccontare quello che è successo affinché diventi parte della storia condivisa di questa collettività”.
“Il documentario – aveva già annunciato Vittorini – vedrà la luce nel 2024. La nostra speranza è presentarlo proprio il 6 aprile del prossimo anno”.
Il teaser di ‘Le crepe della giustizia’
Vittorini, di rientro dalla proiezione del tesser, ha poi introdotto l’intervento del giudice del tribunale dell’Aquila, Marco Billi, autore della sentenza di primo grado nel processo alla Commissione Grandi Rischi, “venduto ai media come un processo alla scienza ma, nella realtà, un processo alla comunicazione, alla mancata comunicazione e all’ inadeguata analisi del rischio”.
“È la prima volta che affronto questo tema – ha esordito Billi – perché ho sempre evitato di entrare nel merito per non dare l’impressione di voler difendere a posteriori una sentenza che poi noi è stata confermata, se non in minima parte.
Sono, tuttavia, passati tanti anni e fare chiarezza, in maniera del tutto neutrale, è opportuno. Perché non è stato un processo alla scienza né in primo, né in secondo grado?”
Ascoltiamolo
“Non fare i conti con la propria memoria, – ha dichiarato lo scrittore Alessandro Chiappanuvoli – non viverla è una mancanza di rispetto non solo verso le vittime, non solo verso noi stessi, ma anche verso gli altri, verso chi non vivrà mai nulla di simile e verso chi ha vissuto o vivrà qualcosa di così tremendo.
È nostro dovere, è nostra responsabilità condividere con gli altri ciò che abbiamo vissuto, fare della nostra esperienza un’esperienza collettiva. Non farlo è mancanza di gratitudine”.
“Mi ha colpita – ha infine commentato la psicologa Ilaria Carosi– il richiamo alla necessità di ‘fare memoria’.
La memoria è una funzione cognitiva, è qualcosa che abbiamo oppure perdiamo quando andiamo incontro ad un decadimento cognitivo per vecchiaia o per qualche patologia.
Come mai a livello collettivo/comunitario la memoria non è qualcosa che ‘abbiamo’ ma che dobbiamo ‘fare’?
Un trauma collettivo provoca reazioni diverse: c’è chi rimuove o attivamente vuole dimenticare per andare avanti, chi ha bisogno di raccontare e raccontarsi e chi resta congelato, quasi inerme e senza emozioni.
Sappiamo che a livello psichico rimozione e negazione sono meccanismi di difesa: qualcuno ha avuto bisogno di difendersi, scegliendo di andare via, voltando pagina.
Forse, per risanare la frattura psichica che un trauma come il terremoto genera nella continuità temporale degli individui e delle comunità che restano (il prima e il dopo che tanto ha contraddistinto anche le nostre narrazioni) è necessario che avvenga un’integrazione che passi anche attraverso un ‘fare memoria’ attivo, un narrare e rinarrare negli anni.
Succede anche nelle psicoterapie: essere integrati e non dis-integrati è importante per funzionare in modo sano.
Elaborare un lutto, allora, significa anche questo; i vissuti di lutto, dopo un evento come il nostro, hanno riguardato tutti, non soltanto i familiari delle vittime. Tutti abbiamo perso qualcuno o qualcosa, quella notte.
Mi ha fatto piacere che, finalmente, anche altri cittadini abbiano iniziato a capire che era importante arrivare a declinare la Memoria in modo diverso.