Una recessione «più profonda e lunga del previsto» per l’Italia, con ripercussioni sulle banche del paese. Standard & Poor’s prevede per il pil italiano un calo del 2,1% nel 2012 e dello 0,4% nel 2013: «Rispetto ad altri paesi dell’area euro, come la Francia o la Germania, l’economia italiana non si è ripresa dalla recessione del 2008-2009». E le conseguenze della situazione economica si riflettono sulle istituzioni finanziarie.
Confermando il rating di Unicredit e IntesaSanpaolo, S&P rivede al ribasso la propria valutazione su 15 banche, anche Monte dei Paschi di Siena. «L’attuale stato dell’economia italiana sta aumentando la vulnerabilità della qualità degli asset delle banche italiane» mette in evidenza Standard & Poor’s, precisando che «l’insieme dell’aumento degli asset che presentano criticità e la riduzione delle riserve per la copertura delle perdite sui prestiti espone le banche a un possibile aumento delle perdite, soprattutto se il valore degli asset collaterali si deteriorasse». Alla fine del 2011 gli asset con criticità rappresentevano il 51% del Tier 1 delle banche.
Alla fine del 2008 il rapporto era al 27% ma «alla fine del 2013 sarà vicino al 60%». In ogni caso – precisa Standard & Poor’s – «i calcoli sono effettuati sulla media e quindi potrebbero mascherare performance diverse fra le singole banche». L’agenzia di rating precisa di aver considerato, nell’assumere azioni su «32 istituzioni finanziarie italiane», la previsione di un «calo moderato» in termine reali dei prezzi di real estate in Italia nei prossimi anni. «Le banche italiane sono esposte alle deviazioni negative dall’attuale e moderato calo dei prezzi del real estate». Standard & Poor’s mantine comunque una valutazione del rischio dell’industria bancaria italiana a ‘4’, ovvero a rischio intermedio, anche se ha rivisto al rialzo – a 5 da 4 – il rischio di credito dell’Italia.
BORSE VOLANO, MILANO +6% C’è voluta una notte per pensarci e i mercati, dopo aver letto e riletto le parole del presidente Bce Mario Draghi si sono convinti che da Francoforte è arrivata non una marcia indietro ma un segno certo di un intervento massiccio. Un’azione se non immediata di sicuro prossima che potrebbe finalmente sbloccare la spirale negativa.
E così, con un copione inverso a quello della vigilia, sin dai primi scambi lo spread dei titoli di stato italiani e spagnoli si è sgonfiato e i listini azionari sono partiti in quarta. Verso la chiusura della seduta nemmeno il solito clima da fine settimana ha guastato la festa e anzi i buoni dati americani sull’occupazione, migliori delle attese, hanno consolidato i rialzi.
Milano è stata la migliore in Europa con un rotondo +6,34% seguita, non a caso, da Madrid con un +5,58%. Ottimi i risultati di Francoforte (+3,9%) e Parigi (+4,3%). Lo spread dei Btp è sceso da 500 a 460 e quello dei ‘bonos’ da 585 a 535 sotto la soglia psicologica del rendimento del 7%.
Sebbene il primo ministro Mariano Rajoy prenda tempo e dica di voler conoscere i dettagli prima di chiedere gli aiuti, condizione necessaria per l’intervento Bce, la sensazione fra gli operatori è che la strada sia oramai segnata. Non è un caso che le stelle sui listini azionari siano stati i bancari, più legati all’andamento del differenziale che rappresenta oramai il livello del costo del denaro nel paese e i beneficiari immediati di un intervento della Bce.
Peraltro a Piazza Affari Intesa (+12,5%) e Unicredit (+8,39%) presentavano i risultati semestrali giudicati in maniera piuttosto positiva dagli analisti. Corsa ancora più forsennata per la spagnola Bankia, nazionalizzata dal governo (+33%). Il buon clima dei mercati ha spinto anche la ripresa dell’euro che dopo essere caduto a quota 1,22 è risalito a quota 1,23.