Il patrimonio culturale aquilano a tre anni dal terremoto.
Oggi, 31 marzo alle ore 11 presso il Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea, si è tenuto l’incontro “Se tre anni vi sembran pochi. Il patrimonio culturale aquilano a tre anni dal terremoto”.
1. Al termine del suo primo convegno organizzato a pochi mesi dal terremoto abruzzese, L’Aquila: questioni aperte. Il ruolo della cultura nell’Italia dei terremoti (Roma, 10 dicembre 2009), l’Associazione Bianchi Bandinelli si era impegnata a vigilare sui diritti dei beni culturali nell’emergenza e dopo l’emergenza sismica. A distanza di un anno, nell’incontro L’Italia non può perdere l’Aquila (Roma, gennaio 2011), in cui hanno avuto voce anche i responsabili delle istituzioni per la cultura e i servizi culturali ai cittadini nonché diversi protagonisti delle autonomie locali, lo sforzo di individuare la strategia complessiva più efficace per realizzare il pieno recupero dei centri storici colpiti, nel rispetto della tutela del paesaggio, si è scontrato con una situazione gravemente compromessa dalle scelte politiche compiute all’indomani del terremoto. In Abruzzo, le sorti del patrimonio culturale sono state determinate infatti in assoluta difformità rispetto alle precedenti crisi sismiche italiane, dal Friuli (1976) all’Irpinia, fino all’Umbria e alle Marche nel 1997 e in assenza di ogni partecipazione democratica alle decisioni. Con il commissariamento gestito dalla Protezione civile, le strutture e le competenze del Ministero per i beni e le attività culturali sono state messe ai margini, si è preteso paradossalmente di sostituire un intero ministero con un solo responsabile, il Vice Commissario delegato alla tutela dei beni culturali, legittimato ad agire in deroga alla legislazione vigente per il recupero e la messa in sicurezza del patrimonio danneggiato.
La conferenza stampa di oggi è la risposta a un quadro inaspettatamente mutato grazie al Programma per la ricostruzione presentato il 16 marzo scorso all’Aquila dal Ministro per la Coesione territoriale, che ha segnato la fine dei poteri straordinari commissariali.
2. Il Documento dell’OCSE e dell’università di Groningen, Rendere le Regioni più forti in seguito a un disastro naturale. Abruzzo verso il 2030: sulle ali dell’Aquila.
Il documento, finanziato dal Ministero dello Sviluppo economico (Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica) e da Confindustria, CGIL, CISL, UIL, è stato discusso nel Forum dell’Aquila di sabato 17 marzo. Da anni non si leggevano stoltezze simili. Nella parte seconda del documento – in particolare nei paragrafi Raccogliere la sfida della ricostruzione e L’Aquila: concorso internazionale di architettura e candidatura al titolo di Capitale europea della cultura – si propone di “utilizzare moderne soluzioni architettoniche e ingegneristiche per modificare gli interni degli edifici con lo scopo di creare luoghi moderni destinati alla vita quotidiana, al lavoro e al tempo libero, conservando e migliorando allo stesso tempo le facciate storiche degli edifici. I requisiti architettonici possono essere incentrati sulla celebrazione del passato, vista come mezzo di costruire un futuro nuovo e sostenibile”.
Per realizzare lo scempio si dovrebbe organizzare un concorso internazionale di architettura consentendo “che venga modificata la destinazione d’uso” degli edifici, permettendo altresì ai proprietari di “modificare la struttura interna delle loro proprietà (in parte o in totalità)”. Alla giuria del concorso dovrebbero partecipare “architetti di fama mondiale e di livello internazionale” e per pubblicizzare l’iniziativa al concorso verrebbero affiancati un documentario televisivo e altre operazioni di comunicazione che valorizzino la natura della sfida.”
Dobbiamo chiederci se gli autori del documento sanno che esiste una cultura del recupero, che da più di mezzo secolo ha messo a punto principi, procedure e regole per intervenire nei centri storici. Lo sanno che questa cultura è un vanto dell’Italia e che dall’Italia si è a mano a mano diffusa in Europa e nel resto del mondo? Hanno mai sentito parlare della Carta di Gubbio? Fu approvata nel 1960 e per la prima volta dichiarò che i centri storici sono un organismo unitario, tutto d’importanza monumentale, dove non è possibile distinguere, come si faceva prima, gli edifici di pregio (destinati alla conservazione) dal tessuto edilizio di base disponibile invece per ogni genere di trasformazione (come quelle che propongono OCSE e soci). Lo sanno che la stessa impostazione, approfondita e perfezionata, nella prima metà degli anni Settanta guidò la formazione del piano per il centro storico di Bologna che diventò un modello apprezzato, imitato, invidiato in mezzo mondo? Che da allora altre città, grandi e piccole, anche esposte a rischio sismico, hanno seguito la stessa strada (Como, Venezia, Palermo, Napoli e altre)? Esperienze di cui l’Aquila dovrebbe far tesoro.
3. Dalla “Lista dei 45 monumenti da adottare“ stilata nella prima emergenza all’ “Operazione Natale 2011” con 116 chiese riaperte al culto – ma nessuna delle quali restaurata, se non in zone lontane dall’epicentro, con danni minimi e quindi poco costosi ma di facile effetto comunicativo -, fino alla campagna di comunicazione “ I 38 cantieri della ricostruzione pubblica” inaugurata il 19 dicembre 2011 nel capoluogo abruzzese, la logica d’intervento che si è imposta finora all’Aquila, focalizzata su monumenti emblematici di sicuro impatto mediatico, si è caratterizzata per un approccio puntiforme, scoordinato, privo di prospettive a lungo termine. Sconcertante, anche nei documenti recenti, è l’assenza di qualsiasi forma di programmazione, l’individuazione di criteri di priorità d’intervento in base a un piano integrato e globale di recupero, non in ragione della proprietà giuridica dei beni, pubblici o privati (compresi quelli ecclesiastici) e dei relativi flussi di finanziamenti.
La decisione di mettere finalmente termine alla gestione commissariale prevedendo il graduale ritorno alle attività dell’amministrazione ordinaria di tutela, ne impone un forte potenziamento a livello territoriale e un più organico collegamento con gli istituti centrali del MiBAC, in particolare con l’ISCR. Sia le Soprintendenze statali che gli Enti Locali necessitano di personale altamente qualificato e specializzato anche attraverso corsi dedicati. Ai fini di un efficace coordinamento, sinora mancato, si potrebbe pensare di attivare una speciale struttura del MiBAC (potenziando ad esempio la Direzione Regionale), simile a quella che operò in modo esemplare in Campania dopo il terremoto del 1980.