Scuola, quel complesso rapporto tra docenti e studenti
Il caso 'docente impallinata' a Rovigo, una riflessione con la preside del Da Vinci-Colecchi Elisabetta Di Stefano: "E' la famiglia, purtroppo, l'anello debole. I ragazzi vivono, all'interno delle loro famiglie, rapporti di tipo orizzontale, come se si fosse, nei confronti dei genitori, tra pari
di Marianna Gianforte | 18 Gennaio 2023 @ 05:13 | ATTUALITA'
L’AQUILA – Una professoressa dell’istituto Viola Marchesini di Rovigo viene colpita più volte con i proiettili di una pistola ad aria compressa, ferita in testa e a un occhio e derisa quando lei, sorpresa e sconcertata, si alza ponendosi le mani sulla testa. Tutto viene ripreso da un telefonino, che appartiene a uno studente diverso da quello che ha ‘sparato’ e poi diffuso sui social. Scatta la sospensione, poi, dopo quasi tre mesi (il fatto risale all’11 ottobre) la docente denuncia. Ma non soltanto l’autore del gesto (lo sparo) o gli autori dell’atto di bullismo (autore del gesto, ‘regista’ e colui che ha gettato la pistola dalla finestra), bensì l’intera classe “perché agiscono in branco – ha commentato la professoressa vittima dell’atto di bullismo, Maria Cristina Finatti – e sporgere denunce singole non sarebbe servito a niente”. In tre mesi, infatti, a riprova della coesione del gruppo-branco, mai una parola di scuse nè dagli alunni e dalle alunne, nè dai loro genitori. Un fatto che ha scombussolato la comunità intorno alla quale ruota l’istituto, e che ha ‘scomodato’ persino il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. Convocata al ministero per il 24 gennaio la preside Isabelle Sgarbi, che dovrà consegnare una relazione dettagliata sul gravissimo fatto.
Episodi di questa gravità forse all’Aquila non si sono mai verificati (andando a memoria) o almeno non sono emersi; ma sicuramente tra il corpo docente ai livelli sia di scuola primaria sia di scuola secondaria, si leva una particolare preoccupazione sulla difficoltà di ‘contenere’ e di guidare alunni e alunne, studenti e studentesse in classe. Viene sempre più meno il riconoscimento del ruolo di chi sta dall’altra parte della cattedra e, di conseguenza, della scuola nella sua interezza, nella sua identità di luogo in cui imparare, formarsi, crescere come cittadini e cittadine. Cosa porta a simili estremi?
“E’ la famiglia, purtroppo, l’anello debole. I ragazzi vivono, all’interno delle loro famiglie, rapporti di tipo orizzontale, come se si fosse, nei confronti delle mamme e dei papà, tra pari – spiega la dirigente scolastica del Da Vinci-Colecchi dell’Aquila Elisabetta Di Stefano, che apre una riflessione sull’episodio avvenuto in Veneto. “Non interiorizzano, quindi, i ruoli che gli adulti hanno nei loro confronti, l’autorità e l’autorevolezza degli adulti. Gli adolescenti e le adolescenti devono poter esprime il loro rapporto con il mondo adulto, con le regole che un domani li proteggeranno; un adolescente ha bisogno di essere contenuto”.
E non, dunque, necesariamente assecondato. Negli ultimi anni, fa notare la professoressa Di Stefano, assistiamo anche all’Aquila, ma certamente non in misura diversa di quanto accade altrove, “sempre più spesso a ragazzi che pretendono di avere rapporti con docenti, e anche con i presidi, appunto ‘alla pari’, come con i propri coetanei; mentre quando vengono rimproverati, oppure prendono un brutto voto, i genitori vengono a contestare il voto e a difendere i figli: ecco che viene meno quel rapporto di fiducia tra genitori e insegnanti, che è sempre stato alla base di ua sorta di patto per la loro crescita e formazione, per la loro educazione culturale e sociale. Sembra quasi, invece, che il docente sia diventato la controparte. Invece – sottolinea Di Stefano – lavoriamo tutti per l’educazione e la crescita dei nostri giovani, siamo tutti (genitori e docenti) dalla stessa parte”.
I protagonisti di questi atteggiamenti, naturalmente, costituiscono una minoranza; che spesso, però, viene ‘disturata’ dai pochi elementi fuori dalle righe. “Quando capitano situazioni critiche il genitore viene ad affrontare il docente – prosegue -Viene, così, delegittimato il ruolo della scuola e dei doenti. Se i ragazzi a scuola non percepiscono stima e riconoscimento verso istituzione scolastica, nemmeno i giovani non la sviluppoano. Voglio però far notare che faccio un’analisi non retorica o di condanna; bensì di presa d’atto della situazione, con uno sguardo fenomenologico. D’altra parte, lo sviluppo sociale degli adolescenti e, poi, dei giovani, si costruisce in famiglia, e negli ultimi tempi questo, forse, non sta accadendo. I genitori non possono essere complici dei loro figli”.
“Questi studenti e studentesse sono il nostro futuro, sono i futuri cittadini e devono migliorare questa società. Quel che è accaduto a Rovigo è certamente un caso limite, che non accade tutti i giorni: quei ragazzi hanno bisogno di un intervento educativo, devono sviluppare una certa capacità di empatia con gli altri. I ragazzi – spiega Di Stefano – devono impararre a comprendere quello che viene provocato in una persona, le conseguenze di un gesto nel contesto generale e nei confronti degli altri. Non si può generalizzare. Il bullismo è d’altra parte sempre esistito; oggi c’è una consapevolezza maggiore, un’attenzione maggiore e un approccio gloable che vede in prima linea naturalmente, anche le forse dell’ordine. Ma è evidente che il fenomeno si sia acuito con l’arrivo dei social: i giovani devono essere educati sugli effetti che molte azioni anche ingenue hanno sulla realtà circostante. Bisognerebbe che i gentori o le persone che si occupano della loro cura, dedichino più tempo e più attenzione a controllare l’uso che fanno dei social. Gli adolescenti di oggi sono nativi digitali, per loro è normale condividere foto e materiali, video, anche in contesti che dovrebbero restare privati: ma ci sono atti e comportamenti sul web che sono reati. Ed è qui che torna a essere davvero importante il ruolo della scuola, dei docenti e dei genitori”.