È fallita “Bioleben srl” di Malo che realizzò in subappalto nell’estate 2009 case in legno ecologiche per i terremotati di L’Aquila. La titolare sottoscrisse due contratti per 6 milioni di euro, ma poi transò incassando una minima parte. Di qui l’insolvenza.
L’azienda fallisce perché la ricostruzione del post terremoto si rivela un pessimo affare. E pensare che il dramma delle popolazioni abruzzesi colpite dal sisma del 6 aprile 2009, ha avuto come riflesso per chi è stato impegnato nei lavori innegabili vantaggi economici. Così avrebbe dovuto essere anche per la società Bioleben di Malo, che attraverso i contratti pubblici riteneva di ottenere il definitivo lancio sul mercato nazionale costruendo case in legno ecologiche considerate di alta qualità. Invece, il subappalto da quasi 6 milioni di euro per il sisma di L’Aquila si è rivelato per la ditta amministrata da Silvia Grotto la fonte di guai finanziari a catena fino al tracollo definitivo certificato dal tribunale. La società di Malo nei mesi scorsi aveva cercato inutilmente di raggiungere un accordo con i creditori sottoforma di concordato preventivo, ma esso è naufragato. E l’altro giorno il tribunale ha decretato l’insolvenza. Sono stati incaricati Enzo Colosso curatore del fallimento e Giuseppe Limitone giudice delegato.
La vicenda colpisce perché fino all’estate 2009 Bioleben era un’azienda che sapeva stare sul mercato con buoni risultati. Non a caso la Steda spa di Rossano Veneto le aveva subappaltato una fetta importante delle commesse acquisite attraverso il Dipartimento della protezione civile. Intravedendo la possibilità di un forte ricavo che avrebbe potuto essere propulsivo per lo sviluppo aziendale, poiché a commissionare i lavori era lo Stato e c’era l’urgenza di fare presto per consentire ai terremotati di avere un tetto prima dell’inverno 2009 come promesso dal premier Berlusconi, gli amministratori di Bioleben il 6 e 25 agosto hanno firmato due contratti milionari. All’appaltatrice Steda la Protezione civile aveva assegnato la fornitura di 1500 casette. La scelta era caduta sulla ditta di Malo perché dotata di un sistema costruttivo avanzato con standard di qualità. L’errore commesso da Grotto e dalla proprietaria Francesca Lissa Dal Prà, entrambe di Marano, è stato quello di lavorare in esposizione, anticipando il rischio perché ritenevano che i contratti fossero blindati essendo garantiti dallo Stato. Perciò hanno acquistato il materiale per fabbricare le casette, ma al momento delle prime consegne sono sorti i problemi per i pagamenti. Come sempre avviene in questi casi tra il Dipartimento della protezione civile, Steda e Bioleben è iniziato un balletto sulle responsabilità con accuse reciproche.
A uscirne con le ossa rotte è stata la società più fragile perché pur essendosi esposta per milioni di euro ha transato per poche centinaia di migliaia di euro. Una pagina angosciante per Grotto, perché quando la società è stata a corto di liquidità, per fare fronte ai debiti che diventavano incalzanti ha deciso di attuare una strategia diversa da quella impostata dall’avvocato Agostino Dal Zotto, che la stava seguendo per portare a casa gli ingenti crediti vantati e che se incassati l’avrebbero salvata dal tracollo. Così se da una parte la donna per stato di necessità ha transato all’insaputa del suo avvocato per un decimo del valore nominale dei contratti sottoscritti, dall’altra è finita sotto processo per calunnia, prima di venire assolta. Nel frattempo, l’ammontare della transazione aveva mandato a farsi benedire la possibilità di rimettere in sesto i ricavi di competenza, perché i creditori battevano cassa e il fallimento è stato il sigillo di una gestione in cui imprudenza, errori tattici e anche sfortuna hanno giocato un ruolo decisivo. E le commesse pubbliche ritenute sicure per far fronte alle conseguenze del terremoto abruzzese, sono state all’origine del crac milionario di Bioleben.
di Ivano Tolettini, il Giornale di Vicenza.