Religione e superstizione, in ricordo della domenica delle Palme 2009

di Isabella Benedetti | 22 Marzo 2023 @ 06:00 | ATTUALITA'
Processione Avezzano - terremoto
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Religione e superstizione, in ricordo della domenica delle Palme 2009. Religione e superstizione, da sempre, sono le due facce della stessa medaglia, due anelli della medesima catena, che rispondono all’esigenza dell’uomo di dare spiegazione a realtà fenomeniche di cui non hanno comprensione e controllo. L’etimologia latina della parola superstizione rimanda all’indirizzo di una situazione al di sopra dei fatti e delle conoscenze dell’uomo e di cui questo ha timore. In molti casi, la superstizione si veste di riti dismessi da religioni preesistenti o che non hanno più carattere religioso, si appropria di gesti pagani. La religione, il cristianesimo, nello specifico, sottolinea perfettamente questo processo di distacco e contatto insieme, perché a tratti sembra prendere le distanze da tutto ciò sia materialistico, a volte sembra coincidere con il mondo della superstizione quando fa collimare le proprie festività con i riti propiziatori. L’uomo è spaventato dall’ignoto e cerca sempre di trovare la causa di un evento eccezionale che porta morte e distruzione. Cerca espedienti e strategie per gestire la paura.

La storia fornisce tantissimi esempi a riguardo. Fra il XVI e XVII secolo, i paesi dell’Europa del Nord vennero colpiti da una terribile glaciazione. Ghiacciò il mar Baltico fino allo stretto di Danimarca, gelarono tutti i corsi d’acqua continentali e la morsa dei ghiacciai in espansione distrusse i villaggi, uccise il bestiame e rese sterili i terreni. Un terzo della popolazione in Finlandia morì per fame e congelamento. Si verificarono anche casi di cannibalismo.

La religione parlava di un Dio buono e misericordioso, ma la cruda realtà ne restituiva una visione diversa, un’entità sempre pronta a punire gli uomini per i loro peccati. Nell’immaginario collettivo, il flagello subito era il prezzo dei loro peccati, soprattutto quelli a carattere sessuale di cui si attribuiva la responsabilità alle donne. Iniziò una caccia alle streghe che in Europa, fra il XVI e XVIII secolo, tolse la vita a 35000-50000 persone. La pagina più buia scritta dall’inquisizione riguardò soprattutto questo periodo, piuttosto che il medioevo. Per capire bene come religione e superstizione abbiano camminato di pari passo alimentandosi a vicenda, bisogna ricordare anche l’influenza delle maledizioni e degli anatemi in campo giuridico. All’origine, il valore della maledizione era collegato al giuramento. L’anatema e la maledizione erano presenti come clausola penale nei documenti. Ebbero il massimo della diffusione durante i secoli X e XI, presenti soprattutto nelle donazioni compiute dai laici verso la chiesa, creando un vincolo che esorbitava le clausole civili e la giurisprudenza comune. Aveva una natura trascendente in equilibrio tra linguaggio religioso e linguaggio del vissuto. La maledizione colpì anche gli aquilani o almeno così credettero. Religione e superstizione hanno tessuto la storia della città fin dalle origini. Buccio di Ranallo, circa la rifondazione della città nell’anno 1266, scrive che fu fatta dopo aver interpellato gli astrologi, perché indicassero il giorno propizio adatto, visto che la prima fondazione non era andata a buon fine. Venne scelto l’11 aprile, nel segno del “capocorno” (che non è il capricorno, ma l’ariete). Buccio di Ranallo, nella sua cronaca, riporta il primo sciame sismico avvertito all’Aquila dalla fondazione e il sentimento di paura che si insinuava tra la popolazione. Era il 3 dicembre del 1315 e la terra tremò per quattro settimane. “Per li gran peccati fatti li giurni iuti, Dio ci mandò per questo ad noi li terramuti”, scrive il cronista che ricorda una circostanza particolare. Gli aquilani si sentivano in colpa per non aver tenuto fede alle promesse fatte alle “donne di Machilone” 15 anni prima. Avevano edificato un monastero che accogliesse le monache, ma l’interno era sguarnito di ogni cosa. Avrebbero dovuto costruire, nel complesso del monastero, una chiesa in onore di San Tommaso, ma non fu mai realizzata. Finito lo sciame sismico, tornata la tranquillità, gli aquilani dimenticarono quella e altre promesse. Nel 1349 arrivò il terremoto distruttivo. Gli aquilani, memori delle mancate promesse, si sentivano colpevoli dell’accaduto, riconoscevano gli eventi come prodotti dei loro peccati. Come accadeva anche altrove e come è nella natura dell’uomo, il popolo dell’Aquila doveva trovare una motivazione, doveva trovare un lenitivo per la paura difronte a situazioni distruttive ed ignote. Così, a fine 400, dopo vari anni di pestilenza, gli aquilani decisero di espellere dalla comunità gli albanesi. In città era presente una cospicua collettività albanese, forse stanziatasi per ragioni commerciali. Secondo il sentimento comune, proprio l’andirivieni di questa gente poteva aver veicolato la peste in città. Lo storico Francesco Ciurci racconta curiosità inerenti al terremoto del 1646. Narra di “atti di manifestazioni di religiosità primitiva” sottolineando lo stretto legame tra religione e scaramanzia. Come atto di penitenza, per scongiurare la sciagura dei terremoti, c’erano persone che andavano in giro con corone di spine in testa, c’era chi si cospargeva il capo di cenere, chi camminava da una chiesa all’altra con le mani e con i piedi all’indietro “ad uso di gambaro”, chi si trascinava “strusciando la lingua per terra”. Veniva fatta una processione “con un numero grande di gente con mani dietroligate con grossa fune, con piedi ignudi e mitre di carta in mano nelle quali vedevansi con grossi caratteri scritto PECCATA”. La processione era condotta da Padre G.B. Magnante (che era preposto di tal logo) “con un osso spolpato di un incenerito cadavero in mano, esortando a placar lo sdegno di quell’Iddio”. Le calamità purtroppo si ripetono.

Era la Domenica delle Palme del 2009 e la chiesa del Suffragio era gremita di fedeli per la Santa Messa. La chiesa, da poco ristrutturata, era bellissima, con il crocifisso argenteo tenuto solo da due cavi d’acciaio che sembrava levitasse nel vuoto e l’altare adorno di palme e di fiori. Il sacerdote invitava i presenti, preoccupati e stanchi come il resto della popolazione per il lungo sciame sismico che stava affliggendo la città, alla calma e alla preghiera. Invocava l’aiuto di Sant’Emidio, che ci facesse la grazia, ma la terra ha tremato, rovinosamente, ancora.


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