Diffamazione aggravata. Questo è quello che si rischia se si incappa in qualche commento sui social. Il reato è previsto dall’articolo 595, comma 3, del Codice penale che prevede la reclusione da sei mesi a tre anni o con una multa minima di 516 euro. Secondo la giurisprudenza un messaggio offensivo, anche a pochi amici, può potenzialmente raggiungere un numero indeterminato di persone e così configurarsi come un crimine.
Può succedere con con un post visibile a tutti in cui si offende un amico o una fidanzata. Ma pronunce simili, ricorda il Sole 24 ore, sono arrivati in casi di mogli separate che hanno scritto qualcosa di offensivo sulla bacheca dell’ex marito. Stessa sorte, diffamazione aggravata, per la vicenda di di chi insultò pesantemente un sindacalista definendolo “viscido e senza spina dorsale” (Tribunale di Taranto, 123/2020). Anche “pseudo giornalaio (…) pagato per blaterare” è stato configurato come diffamazione aggravata dal Tribunale di Campobasso nel 2020.
Le espressioni devono avere la caratteristica, chiara ed oggettiva, di mettere in una luce oggettivamente negativa la vittima. Il bene protetto è l’onore “sociale”, la reputazione della persona.
La persona diffamata può quindi costituirsi parte civile nel processo penale o rivolgersi direttamente al giudice civile per ottenere il risarcimento del danno morale da calcolare in via equitativa