Per l’intervista a Papa Francesco molti aquilani incollati alla tv
Il Santo Padre ha delineato il mondo che vorrebbe
di don Daniele Pinton | 10 Gennaio 2021 @ 21:20 | ATTUALITA'
Già dal primo pomeriggio di oggi, molte associazioni cattoliche e parrocchie dell’Arcidiocesi di L’Aquila, hanno invitato i fedeli a seguire la trasmissione televisiva, in diretta esclusiva su Canale 5, in cui nel colloquio con il giornalista Fabio Marchese Ragona, avvenuto nella residenza di Santa Marta in Vaticano, il Pontefice ha affrontato vari temi, tra cui: la pandemia, il vaccino, i disordini negli Stati Uniti, l’aborto, la politica e com’è cambiata la sua vita a causa del virus.
Il Papa, ha delineato il mondo che vorrebbe, dopo la terribile esperienza della pandemia che dal 2020 sta colpendo l’umanità. Oltre agli aspetti etici ai quali l’umanità è invitata a vivere questo 2021, tra cui la solidarietà mondiale contro le sofferenze per il covid-19, Papa Francesco, ha sottolineato l’importanza del vaccino contro la pandemia, perché sia a disposizione di tutti, affermando con forza che il negazionismo per i vaccini è un vero suicidio collettivo.
Ecco il testo integrale dell’intervista in esclusiva mondiale al Tg5 di Papa Francesco, andata in onda stasera, dalle 20.35 su Canale 5.
DOMANDA: È stato un 2020 difficile, pieno di dolore e di tanti problemi per via della pandemia. Come si fa a ritrovare fiducia per ripartire con fiducia?
«Questa è una bella domanda che tutti ci facciamo dentro. Da dove possiamo ripartire? Io parto da una certezza. La pandemia è stata una crisi durata un anno e che continua ancora oggi. Ma da una crisi non se ne esce mai come prima, o se ne esce migliori o peggiori. Questo è il problema: come fare per uscirne migliori e non peggiori? Cosa ci aspetta in futuro? È una nostra decisione. Se vogliamo uscirne migliori dovremo prendere una strada, se vogliamo riprendere le stesse cose di prima la strada sarà un’altra strada, e sarà negativa. E oltre alla pandemia ci sarà una sconfitta in più: quella di non esserne usciti migliori. E come si diventa migliori? Bisogna fare una revisione di tutto. I grandi valori ci sono sempre nella vita ma i grandi valori vanno tradotti nei momenti perché i momenti storici non sono gli stessi. I valori non cambiano nella storia ma l’espressione del valore dipende sempre dalla cultura del tempo. Dobbiamo fare un’analisi molto forte delle situazioni brutte che oggi si vivono nel mondo. Pensate ai bambini senza scuola e che soffrono la fame. Ci sono le statistiche delle Nazioni Unite che sono spaventose. Pensate ai bambini che sono nati con la guerra, da dieci anni vivono in guerra e che non sanno cosa sia l’odore della pace. Pensiamo solo ai bambini in generale: le statistiche sono terribilI. Una domanda che tutti ci dovremmo fare è questa: cosa possiamo fare per poter far andare a scuola e per far avere da mangiare a tutti i bambini? Un altro problema riguarda le guerre perché c’è già la terza guerra mondiale, non coinvolge tutto il mondo ma esistono le guerre. E quindi dovremmo chiederci quale sia la strada per la pace. È un problema serio da prendere molto sul serio e se noi vogliamo uscire da questa situazione senza vedere queste cose allora l’uscita sarà peggiore. Sono dei problemi gravi e questi sono solo due dei problemi: i bambini e le guerre. Poi ce ne sono molti altri. Dobbiamo uscirne considerando le cose concrete, nessuna fantasia: cosa possiamo fare per cambiare questa situazione? Le statistiche dicono che togliendo un mese di spese di guerra potremmo dare da mangiare a tutta l’umanità per un anno. Dobbiamo prendere coscienza di questa drammaticità del mondo, non è tutto una festa. Per uscire da questa crisi a testa alta e in modo migliore dobbiamo essere realisti. Ci vuole realismo»
DOMANDA: La speranza del 2021 arriva dal vaccino. Tanti si stanno vaccinando, tanti altri invece sono restii nel farlo. Come sarà il 2021 di Papa Francesco anche da questo punto di vista. Lei farà il vaccino?
«Credo che, eticamente, tutti devono prendere il vaccino. È un’opzione etica perché riguarda la tua vita ma anche quella degli altri. La prossima settimana lo faremo qui al Vaticano e io mi sono prenotato per farlo. Quando ero piccolo mi ricordo che c’era la crisi per la poliomielite che ha colpito tanti bambini che sono rimasti paralitici. C’era la disperazione per prendere il vaccino e quando è uscito te lo davano subito, con lo zucchero. Noi siamo cresciuti all’ombra dei vaccini, per il morbillo e altre malattie. Vaccini che ci davano quando eravamo bambini. Non capisco perché alcuni dicono che questo potrebbe essere un vaccino pericoloso. Se te lo presentano i medici come una cosa che può andare bene e che non ha dei pericoli speciali perché non prenderlo? C’è un negazionismo suicida che non saprei spiegare ma oggi si deve prendere il vaccino».
DOMANDA: Tanti hanno approfittato del lockdown per partire…
«Questo è un altro problema grave. In un paese in cui il governo dice che dal giorno dopo ci sarà il lockdown ecco che quel giorno sono partiti più di 40 aerei civili e privati per andare a fare le vacanze nei luoghi di mare e in altri paesi. Questo è uno scandalo perché non si pensa più agli altri e alla comunità. In più è stata anche una mossa suicida. Con le spiagge piene, il contagio lì è stato terribile. È successo anche da noi, mi ricordo quest’estate che la gente non se n’è curata molto. Ma dall’altra parte io capisco le persone. Pensiamo a una famiglia con due figli che vive in un appartamento, non è una situazione facile con il lockdown. Capisco bene la sofferenza della gente, per questo è importante la vicinanza anche degli amici con il telefono. La vicinanza ti fa andare avanti in questa crisi ma scappare per fare i propri comodi e le vacanze non aiuta. Pensare al noi e cancellare per un tempo l’io. O ci salviamo “noi” o non si salva nessuno».
DOMANDA: Lei ci ha detto durante quella preghiera straordinaria in Piazza San Pietro “Nessuno si salva da solo” e poi, con la sua enciclica ‘Fratelli tutti’ ha invocato la fratellanza, fratelli e sorelle, tutti insieme, tutti uniti per uscire anche da questa crisi, per ritrovare la pace, la gioia, la serenità. Ma come si fa a parlare di fratellanza e di unità quando vediamo il popolo che viene schiacciato, lo straniero che viene discriminato, la casa che viene distrutta, come si può affrontare il discorso?
«È difficile, è una sfida, con queste cose, come mai potremmo parlare della fraternità? Per me una parola che ci può aiutare tanto a pensarla è “vicinanza”. Le guerre, le ingiustizie sociali, il gettare giù la gente, sono gesti che allontanano la gente, allontanano uno dall’altro. “Vicinanza”, questa è la sfida. Farmi vicino dell’altro, farmi vicino della situazione, farmi vicino dei problemi, farmi vicino delle persone. E contro la vicinanza c’è la cultura dell’indifferenza, come si dice un “sano” menefreghismo dei problemi. Il menefreghismo non è “sano”. La cultura dell’indifferenza distrugge perché mi allontana. Nell’elemosineria c’è una fotografia fatta da uno dei fotografi nostri che gira le strade cercando momenti per fotografare e una notte d’inverno in un ristorante di lusso esce una signora ben vestita, con i guanti, la pelliccia, il sombrero e il cappotto, si vede che è una persona di alto livello sociale. E lì alla porta c’è una altra donna vestita di stracci quasi, povera, che tende la mano, e questa signora guarda da un’altra parte.
Quella fotografia è nella elemosineria, è reale perché è scatta proprio dalla vita reale. Il problema di quella signora è il problema di tutti noi, la cultura dell’indifferenza, questo ci uccide perché ci allontana. La giustifichiamo con varie massime, “se dovessimo risolvere tutti i problemi non potremmo vivere”. Questo ci uccide perché ci allontana. Invece, la parola chiave per pensare alle vie d’uscite è vicinanza, io mi avvicino alla gente, ai miei fratelli, alla gente che soffre, alla gente che in difficoltà. E mi avvicino anche per aiutare, non solo a risolvere questo problema, ma anche ad aprire la strada per trovare una soluzione a questa crisi per uscire migliori e non peggiori. Vicinanza contro quella cultura dell’indifferenza che ci allontana. Pensiamo ai gesti di vicinanza e quelli di indifferenza che ci allontanano. Questo ci può aiutare».
DOMANDA: E poi, quando non c’è fratellanza, quando non c’è unità, si possono creare anche delle tensioni, delle tensioni sociali anche all’interno degli Stati, c’è forse bisogno di ritrovare, riscoprire un senso di comunità, essere un’unica comunità, un unico gruppo di persone?
«Si. Questo è importante per tutti e per tutta la vita. Anche nelle comunità, pensiamo alla classe dirigenziale, pensiamo alla chiesa, alla vita politica di un paese… La classe dirigenziale ha il diritto di avere punti di vista diversi e anche di avere la lotta politica. È un diritto: il diritto di imporre la propria politica. Ma in questo tempo si deve giocare per l’unità, sempre. In questo tempo non c’è il diritto di allontanarsi dall’ unità. Per esempio, la lotta politica è una cosa nobile, i partiti sono gli strumenti. Quello che vale è l’intenzione di fare crescere il Paese. Ma se i politici sottolineano più l’interesse personale all’interesse comune, rovinano le cose. In questo momento la classe dirigenziale tutta non ha il diritto dire “Io”. Si deve dire “Noi” e cercare un’unita davanti alla crisi. Passata la crisi ognuno ritorni a dire “Io”, ma in questo momento, un politico, anche un dirigente, un vescovo, un sacerdote, che non ha la capacità di dire “noi” non è all’altezza. Deve prevalere il “Noi”, il bene comune di tutti. L’unità è superiore al conflitto. I conflitti sono necessari, ma in questo momento devono fare vacanze. Bisogna sottolineare l’unità, del paese, della chiesa e della società. Chi dice che “in questo modo si possano perdere le elezioni” dico che non è il momento, questo è il momento della raccolta. “L’uva si raccoglie in autunno”, questo è il momento di pace e non crisi, bisogna seminare il bene comune.
Io dico a tutti i dirigenti – pastorali, politici, imprenditoriali – di cancellare per un po’ la parola “io” e dire la parola “noi”. Perdi un’opportunità: la storia te ne darà un’altra. Ma non fare il tuo negoziato, il tuo negozio sulla pelle dei fratelli e delle sorelle che stanno soffrendo per la crisi. Davanti alla crisi, tutti insieme, “noi”, cancellare l’“io”, per il momento».
DOMANDA: Il 2020, appena passato, ha lasciato una scia di disperazione tra i piccoli artigiani, i commercianti, anche tra le famiglie. Sono i nuovi “poveri del Covid”, tanti li hanno definiti così. Sono aumentati tantissimo i suicidi, i suicidi di commercianti. Come si parla a queste persone, che risposta si dà a queste persone che con la pandemia hanno perso tutto, che sono i nuovi poveri?
«La parola ‘risposta’ non mi piace. Quale domanda gli si fa? “Di cosa hai bisogno?”. Domandare i bisogni e risolverli. La vicinanza ti porta a risolvere dei problemi. In questa città di Roma – ma anche in altre di altri Paesi – in questo periodo incominciarono a uscire gli usurai che fanno suonare il campanello: questi non si avvicinano per risolvere il problema ma per prendere vantaggio dal problema. La vicinanza per domandare di cosa hai bisogno, come posso aiutarti: questa è la fratellanza. Sulla necessità degli altri io faccio un passo avanti, sono generoso. In questo veramente qui a Roma ho visto tante cose buone. La gente capì questo e uscì per strada: ‘a quell’anziano vado a fare la spesa perché non può uscire’, o al telefono vicinanza per risolvere un problema. Poi il problema economico è grave. Noi nella Caritas abbiamo più che raddoppiato il numero della gente che viene o che chiede. Noi dobbiamo aiutarli non solo per un aiuto del momento ma per sistemare le cose. I disoccupati oggi, i migranti, sono terribili i bisogni e le necessità che hanno, le cure mediche di cui hanno bisogno. La vicinanza per accompagnare, per risolvere, per aprire strade di speranza. La speranza si semina con la vicinanza: ti prendo per mano e ti aiuto. Questa è la fratellanza, che è la parola chiave con la quale tu hai cominciato. Noi dobbiamo essere inventivi, dobbiamo essere audaci nell’inventare strade di vicinanza. Nessuno si salva da solo. Se tu non fai questo, se non ti avvicini perché tutti siano salvati, neppure tu ti salverai. Questo è molto semplice ma è così la vita: nessuno si salva da solo. Poi, non dimentichiamoci di una brutalità che succede in questa nostra cultura: noi possiamo dire che questa è la cultura dello scarto. Quello che perde l’utilità si scarta. Si scartano tante cose: è la cultura dello scarto. Le persone che non sono utili si scartano. Si scartano i bambini, non volendoli, o mandandoli al mittente quando si vede che hanno qualche malattia, o quando semplicemente non sono voluti: prima della nascita si cancellano dalla vita».
DOMANDA: I sicari, diceva Lei…
«I sicari. Sì – io non volevo atterrare su questo tema ma tu mi hai tirato la lingua – qualcuno dice che se c’è una cosa si può fare, la religione ci capirà. Ma il problema della morte non è un problema religioso, stai attento: è un problema umano, pre-religioso, è un problema di etica umana. Poi le religioni lo seguono, ma è un problema che anche un ateo deve risolvere in coscienza sua. Io faccio due domande a una persona che mi fa pensare a questo problema. Io ho il diritto di fare questo? La risposta scientifica: la terza settimana, quasi la quarta, ci sono tutti gli organi del nuovo essere umano nel grembo della mamma, è una vita umana. Io faccio questa domanda: è giusto cancellare una vita umana per risolvere un problema, qualsiasi problema? No, non è giusto. È giusto affittare un sicario per risolvere un problema? Uno che uccida la vita umana? Questo è il problema dell’aborto. Scientificamente e umanamente. Non immischiare le religioni che vengono dopo, ma non è da perdere la coscienza umana. Sono andato su questa strada per la tua domanda. Anche scartare i bambini – come ho detto prima – senza educazione se ne scartano per sfruttarli dopo: senza togliergli la fame, crescono malati e muoiono. I bambini non producono e vengono scartati. Scartare gli anziani: gli anziani non producono e vengono scartati. Scartare gli ammalati o accelerare la morte quando è terminale. Scartare affinché la cosa sia più comoda per noi e non ci porti tanti problemi. Questa è la cultura dello scarto. Scartare i migranti: sulla nostra coscienza pesa la gente che è affogata nel Mediterraneo perché non la si lasciava venire. Come si gestisce dopo, quello è un altro problema che gli Stati devono affrontare con prudenza e saggezza ma lasciarli affogare per risolvere un problema dopo non va. Nessuno lo fa con intenzione, è vero, ma se tu non metti i mezzi di aiuto è un problema. Non c’è intenzione ma c’è intenzione. In questa cultura dello scarto ci vuole una cultura dell’accoglienza: invece di scartare accogliere. Non vale la cultura dell’indifferenza. Questa è la strada per salvarci, la vicinanza, la fratellanza, il fare tutto insieme. Fratellanza che non vuol dire fare un club di amici, no. Tutti».
DOMANDA: A proposito di comunità, a proposito di unità, di cui ha parlato prima, abbiamo visto delle immagini arrivate dagli Stati Uniti, delle immagini molto forti, in cui questa comunità si è ritrovata a scontrarsi. Come si commentano queste immagini, come si commentano questi fatti?
«Io sono rimasto molto stupito, un popolo così disciplinato, la democrazia, no? Ma è una realtà, nelle realtà più mature sempre c’è qualche cosa che non va, qualche cosa di gente che prende una strada contro la comunità, contro la democrazia, contro il bene comune. Io ringrazio Dio che questo sia scoppiato e si è potuto vedere bene perché così si può porre rimedio, no? Sì, questo va condannato, questo movimento così, prescindendo dalle persone».
DOMANDA: La violenza?
«Sì, la violenza. Io ho letto alcune cose su questo e sempre la violenza è così. La violenza lì, l’altra parte, e nessun popolo può vantarsi di non avere un giorno un caso di violenza, succede nella Storia, no? Dobbiamo capire bene per non ripetere. Imparare dalla storia, no? Imparare che i gruppi para-regolari che non sono inseriti nella società prima o poi faranno queste situazioni di violenza».
DOMANDA: C’è qualcosa che la pandemia ha creato, che tanta gente nella disperazione si è affidata a Dio, alla Fede. E quindi la domanda che tanti forse si fanno è: che cos’è la Fede per il Papa? Per Jorge Maria Bergoglio?
«Per me la Fede è un dono. Né tu, né io, nessuno può avere Fede con le proprie forze, è un dono che ti dà il Signore. Io credo perché sono stato regalato di questo dono. La Fede è un dono, un dono gratuito. Io farò questo per avere Fede? No, non si può comprare la Fede. La Fede è un dono, diciamo la verità. In situazioni difficili, tante volte c’è gente che si apre e riceve il dono. L’unico atteggiamento nostro è aprirci, aprire il cuore per ricevere il dono e tanti altri non hanno questa possibilità, questa capacità. Non voglio giudicare cosa non hanno, ma si chiudono di più. Tu hai parlato di suicidio, o della gente che non trova speranza. La Fede per me, ma per tutti, è un dono. Se non viene come un dono non c’è Fede. Dobbiamo chiedere il dono della Fede, perché Dio ci sta vicino. Io ho parlato di vicinanza, e lui ci sta vicino a noi. A me ha sempre colpito nel libro del Deuteronomio che Dio dice al suo popolo “Ascolta, quale popolo della Terra i suoi Dei così vicini come tu hai me?”. Dio si presenta come vicino e poi Gesù Cristo si è fatto più vicino perché ha condiviso la nostra vita con il lavoro e anche con i problemi, la Passione e la morte, no? La vicinanza di Dio è la vicinanza che noi dobbiamo avere, ma questa vicinanza di Dio per noi è la Fede, un dono che noi dobbiamo chiedere».
DOMANDA: Mi conceda un’ultima domanda personale, se posso. Com’è cambiata la quotidianità del Papa? Tante cose non può più farle a causa delle restrizioni, immagino che durante tutto il periodo del lockdown abbia pregato tanto, abbia pensato tanto, abbia riflettuto. Com’è cambiata proprio la vita del Papa con la pandemia, la sua quotidianità?
«Prima di tutto devo dirti che sono ingabbiato, quando uno è nella gabbia… Ma poi mi sono calmato, ho preso la vita come viene. Si prega di più, si parla di più, si usa di più il telefono, si alcune riunioni per risolvere i problemi. Sai, la pandemia ha colorato pure la vita del Papa e io sono contento. Quando io ho fatto le preghiere pubbliche, sia quando sono andato al Crocefisso Miracoloso, quando ho fatto il 27 marzo la “Statio orbis” qui a San Pietro e poi quando ho fatto la Via Crucis, queste cose erano un’espressione di dolore che si sente, espressione di amore per tutta la gente e anche di far vedere strade nuove per aiutarci l’uno con l’altro. Sì, ho dovuto cancellare viaggi, a Papua Nuova Guinea e Indonesia, cancellati totalmente. Perché in coscienza io non posso provocare assembramenti, no? Adesso non so se il prossimo viaggio in Iraq si farà, ma è cambiata la vita. Sì, è cambiata la vita. Chiusa. Ma il Signore ci aiuta sempre a tutti».
DOMANDA: Vuole fare un augurio per questo 2021?
«Sì, un augurio che possiamo uscire dalla crisi migliori e questo significa che ognuno di voi prenda coraggio e pensi agli altri. L’augurio che non ci sia la cultura dello scarto e della differenza, che ci sia la cultura della Fratellanza, della vicinanza. Come posso farmi vicino agli altri per aiutarli? Come puoi farti vicino per aiutare? Questo è importante. E che non ci siano gli scarti, che non ci siano questi atteggiamenti egoistici dell’Io. Soprattutto nei gruppi dirigenziali, imprenditoriali, religiosi o politici, mai fare una questione dell’Io. L’Io lo faremo dopo, poi. L’unità. L’unità è più grande del conflitto. E pregare. Pregate di più. Grazie».