di Luigi Fiammata – Considerazioni in merito al Documento della “Commissione per la valutazione urbanistica delle criticità e delle prospettive per la ricostruzione e lo sviluppo della città de L’Aquila”, pubblicato sul sito del Ministero della Coesione Territoriale il 15 giugno scorso.
Il Documento, si apre con una affermazione di principio: centrale è l’impegno prioritario per la ricostruzione del Centro Storico. Bene. Ma la soluzione degli innumerevoli problemi aquilani, di vivibilità, di sicurezza, di sviluppo, di qualità, etc. , non si misura a partire da una singola area della Città, per quanto importante. Bensì , dall’armonia con la quale tutto il Territorio, Centro, Periferie e Frazioni, contemporaneamente, procede verso un nuovo assetto urbano dopo il sisma. Tutti i cittadini hanno diritto a migliorare la propria condizione risolvendo i problemi che li interessano.
Mi piacerebbe che si guardasse a L’Aquila con una prospettiva d’insieme. E non parziale.
E, invece, il Documento ritiene sia necessario partire dalla ricostruzione del Centro Storico per immaginare un futuro da “Smart City”, cioè da città centrata su processi innovativi.
Dovrebbe essere urgente il contrario: partire dai margini più esterni al Territorio, ora fortemente popolati, e densi di strutture produttive e di servizio, anche pubbliche, e in cui sono in atto processi tumultuosi, e arrivare poi al Centro, per innescare processi innovativi virtuosi. Visto che nel Centro Storico ancora non si avvia, purtroppo, un consistente processo di ricostruzione. Tralascio, in questa sede, ogni considerazione sulla “Smart City”.
Il Documento si propone di offrire ai Consorzi di proprietari del Centro Storico le condizioni per andare oltre una logica esclusivamente edilizia nella ricostruzione e imboccare al suo posto un percorso che possa farsi anche imprenditoriale, costruendo le opportune modifiche normative e “premialità” urbanistiche. Ad esempio prevedendo l’ampliamento e la diversificazione delle destinazioni d’uso degli immobili, anche con moderati incrementi di superficie utile, o nello stesso luogo, o altrove : nelle zone ai margini del Centro, o all’esterno del Centro; in quelle zone che il vigente Piano Regolatore definisce di “Attrezzature Generali”, la cui destinazione specifica però può essere cambiata solo da una Delibera del Consiglio Comunale.
Penso sia importante immaginare il futuro della città in un’ottica dinamica. Non mi è mai piaciuta l’idea del “dov’era, com’era”, viste le tante brutture e diseguaglianze presenti anche prima del sisma. Il Documento però, mentre sceglie di non intervenire sull’integrale finanziabilità della sicurezza anti-sismica, pone invece il punto di una possibile evoluzione degli immobili verso Residenze Sanitarie Assistite o verso la “Filiera turistico ambientale”, tra le altre. Per questo tipo, o altri tipi, di evoluzione, si possono cambiare le destinazioni d’uso, ricostruendo con soldi pubblici, sulla base di progetti privati, ma sempre con una sicurezza sismica finanziabile compresa tra il 60 e l’80% di quella necessaria per Legge, nel quadro di una indennizzabilità massima, che resta sempre rapportata ai prezziari dell’Edilizia Economica e Popolare nella Regione Abruzzo. Anche per il Centro Storico, anche per gli edifici di pregio. Fino a norma contraria.
C’è una scelta precisa: immaginare una idea evolutiva della città, ma a partire dalle norme e dalle risorse finanziarie disponibili. La volontà di far muovere quello che, fino ad ora, è rimasto fermo, conduce però sull’orlo della rottura delle norme di tutela urbanistica e ambientale della Città. Aprendo varchi immensi al malaffare.
Mi pare si costruiscano le premesse per avere una ampia “zona grigia” di scelte urbanistiche, di difficile legittimazione, oltre che, magari, di insopportabile speculazione. Che partano coprendosi di ottime intenzioni, e finiscano per legittimare interventi pesanti per l’identità del Centro Storico e della città nel suo complesso. Se poi si mette in relazione questo Documento, con il “Piano di Ricostruzione del Centro Storico” del Comune de L’Aquila, nella parte in cui si descrivono le risorse finanziarie disponibili, nessuna di carattere privato, il rischio di finanziarie possibili malversazioni private con risorse pubbliche, si fa troppo alto.
La ricostruzione di reti di infrastrutturazione, anche “intelligenti”, è fondamentale per il futuro della città. E il Documento contiene molti interessanti spunti, anche se resta profondamente carente sul piano delle risorse disponibili. In questo quadro, però, surrettiziamente, suggerisce che sia possibile utilizzare l’energia prodotta da biomasse della costruenda Centrale di Bazzano, approvata dalla Regione Abruzzo, per il riscaldamento/raffreddamento del Centro Storico. Mi pare una forzatura, quanto meno, e sarebbe interessante conoscere il pensiero del Comune de L’Aquila, i cui tecnici, con parere positivo del Sindaco, hanno approvato a suo tempo quella costruzione, giudicandola peraltro coerente con il Piano Regolatore Generale vigente.
Così come è certamente lodevole la sollecitazione a pensare la ricostruzione ( ancora, perché solo del Centro Storico ? ) in “Classe Gold” per l’Ambiente, ma con quali risorse ?
E sempre in tema di risorse, per la prima volta in assoluto, mi pare, il Governo certifica l’insufficienza delle risorse sin qui stanziate per la ricostruzione della Città de L’Aquila. Il Documento infatti, quantifica in 10, 6 i miliardi di euro sin qui stanziati, di cui 2,9 utilizzati per la gestione dell’Emergenza; 2, utilizzati per i processi di ricostruzione sin qui avviati, e dichiara, esplicitamente, che i restanti 5,7 miliardi sono insufficienti per completare la ricostruzione. Ma a questa affermazione non fa seguito alcuna conseguenza. Non vi è cioè alcun ragionamento avviato, o proposto, per il reperimento delle ulteriori risorse necessarie.
Penso che tutti i soggetti istituzionali del nostro Territorio, a partire dal Presidente della Regione che ha sempre dichiarato che “ i soldi ci sono”, per finire con chi si è battuto col precedente Governo per ottenere una “tassa di scopo”, debbano chiedere conto al Governo attuale di queste sue affermazioni, e battersi affinchè le risorse necessarie siano reperite. E penso che questo tema debba restare al centro delle azioni e delle richieste dei soggetti associativi, datoriali o dei lavoratori, e dei cittadini tutti.
Il Documento poi, si diffonde sulle caratteristiche di una nuova possibile forma di governo del processo di ricostruzione, una volta usciti dall’emergenza. Si immaginano nuove strutture, nuove figure, a partire da un “City Manager”, da reclutare tramite concorso internazionale. Ma continua a non immaginarsi quello che forse sarebbe più semplice e necessario. Una nuova pianta organica del Comune, che preveda il reclutamento delle figure tecniche indispensabili per gestire le complessità che ci aspettano, e le risorse necessarie per alimentarla. Una struttura che dialoghi e risponda, in tempo reale, con i tecnici della ricostruzione, le imprese, i cittadini. E una forte struttura di controllo, se necessario di livello regionale, che dialoghi col Governo, ma solo in funzione di verifica ex-post della liceità e correttezza delle scelte, delle erogazioni finanziarie, dei comportamenti.
Ma quello che servirebbe di più sarebbe un corpus normativo chiaro, coerente, che non crei conflitti di attribuzione e individui invece con precisione chi ha la responsabilità di cosa, e sufficientemente flessibile da poter essere adeguato facilmente all’evoluzione delle esigenze della ricostruzione.
Non mi pare che si vada in questa direzione, purtroppo.
Il cuore del Documento, è nel tentativo di offrire un nuovo modello di Piano per la Ricostruzione.
Partendo dalla Legge 77/2009.
I Comuni predispongono, secondo la Legge, d’intesa col Presidente della Regione, la ripianificazione del territorio comunale per assicurarne la ripresa socio-economica, la riqualificazione dell’abitato, garantendo un’armonica ricostituzione del tessuto urbano abitativo e produttivo, ivi compresi gli insediamenti del Progetto C.A.S.E. Dentro questa ripianificazione, si inserisce, con il compito preminente di essere uno strumento di programmazione pluriennale delle risorse disponibili, il “Piano di Ricostruzione del Centro Storico”.
Il Documento sostiene che la programmazione del Territorio è una competenza regionale. Ma la Regione Abruzzo ha una legge urbanistica che risale al 1983. E che individua il Piano Regolatore Generale come strumento della pianificazione del Territorio. Ma, sostiene ancora il Documento, il Piano Regolatore Generale è uno strumento ormai vecchio e inadatto.
E’ per questa convinzione, che la Commissione che ha redatto il Documento sulle prospettive urbanistiche della città de L’Aquila, indica la necessità di uno strumento solo programmatorio, cui consegua uno strumento operativo capace di essere flessibile nel rapporto tra progetto e atto che autorizzi quel progetto, e uno strumento solo regolamentare che si occupi della gestione del patrimonio edilizio esistente.
Quindi, la proposta è di avere un Piano Strutturale, un Piano Operativo, e un Regolamento Edilizio.
Ma, il Governo non può obbligare la Regione ad una nuova Legge Urbanistica che abbia queste caratteristiche, e non ce ne sarebbe neanche il tempo. Quindi il Governo suggerisce alla Regione un intervento normativo transitorio che consenta ai Comuni, L’Aquila in particolare, la ripianificazione del territorio comunale, secondo quanto previsto dalla L.77/2009, e una nuova strategia urbanistica di ricostruzione.
Credo sia grave, semplicemente, che a tre anni e tre mesi più o meno dal sisma, si giunga alla consapevolezza che non abbiamo una corretta architettura giuridica, al di là della bontà o meno delle proposte governative su cui non intervengo, per la ricostruzione della città. Sono francamente poco interessato alla ricerca delle responsabilità di questa situazione, anche se ho le mie idee, e sono molto più interessato, invece a quel che è accaduto “nel frattempo”. Vale a dire cioè alla enorme massa di cambi di destinazione d’uso, di interventi realizzati, di licenze concesse, etc. sulla base di regole opinabili, contrattabili, senza una trasparente e partecipata e condivisa visione della Città. Ogni singolo atto sin qui avvenuto, avrà forse la sua legittimità giuridica, ma il Documento del Governo, quanto meno, certifica che una ripianificazione del territorio non è stata fatta. In termini di pensiero, elaborazione, generosità verso il futuro. Bensì realizzata, materialmente, sulla spinta dell’emergenza e delle necessità dei cittadini o delle imprese, più o meno legittime o legali, e sulla spinta di iniziative politiche, quanto meno, non lungimiranti. Il Documento del Governo, di fatto, certifica che l’unica ripianificazione del Territorio che sarà possibile sarà quella chiamata agiustificare tutto quanto avvenuto sin qui.
Ecco allora, che il modello del “Piano per la ricostruzione del Centro Storico de L’Aquila” va esteso al resto della città, e, semplicemente, quando ci sono problemi col Piano Regolatore Generale vigente, lo si cambia. In variante, volta per volta. Una disciplina delle varianti è richiesta alla regione Abruzzo. E così, a me sembra, le crepe che si aprono saranno ancora più larghe.
Estendere a tutta la città lo schema degli “Aggregati”, consentirebbe di trattare più agevolmente il tema delle demolizioni e compensazioni edilizie, utilizzando anche le cosiddette “Aree Bianche”, per le quali, secondo il Governo, andrebbe cambiata la Delibera in merito del Consiglio Comunale, per aumentarne l’indice di edificabilità, anche pensando a forme di esproprio, da parte del Comune, che il Governo si impegna a finanziare, ma sempre nell’ambito delle attuali risorse stanziate per il sisma. Neanche aggiuntive. E, “finalmente”, si indica l’opportunità di prevedere una ricucitura urbana, attraverso nuova edificazione, tra alcuni insediamenti del Progetto C.A.S.E. e il resto della Città. Mi permetto di dire che sarebbe interessante, per i casi che il Governo indica ( Sant’Elia, 1 e 2, Bazzano, Roio, etc. ), conoscere i nomi delle proprietà dei terreni destinati, secondo gli auspici, a nuova edificazione.
Siamo di fronte alle premesse di quello che, in tempi rapidi, secondo le affermazioni del Governo, si tradurrà in atti di Legge. E’ in corso una discussione su questo, in parte pubblica, e in parte no.
Sono stanco di osservare che il futuro della Città è costruito, a me pare, a partire dagli interessi privati, e non a partire dall’interesse comune, entro il quale gli interessi privati possano trovare la loro soddisfazione. E sono stanco che la Legge serva soltanto a legittimare quello che le forze concrete del Mercato, se così possiamo definirle, ( più o meno lecite ), hanno già determinato.
Sono stanco, anche perché questa discussione avrebbe dovuto essere fatta e avrebbe dovuto produrre tutte le sue conseguenze, normative, politiche, sociali ed economiche, a partire da tre anni fa.
Non mi pare che il Documento del Governo, pure denso di proposte condivisibili, ci faccia compiere il necessario salto di qualità, mi pare invece ci accompagni per mano verso una legittimazione giuridica di scelte urbanistiche per la città, decise da alcuni poteri, certo in modo non trasparente, e per ciò stesso, fatte diventare “sviluppo”.
Abbiamo bisogno invece di riappropriarci, come Città, da subito, dei poteri e delle scelte che riguardano un futuro che è nostro e di chi verrà dopo di noi.