Nel libro di Gänswein, il rapporto tra Benedetto XVI e Celestino V
di don Daniele Pinton | 28 Gennaio 2023 @ 05:43 | RECENSIONI
L’Aquila. Attraverso il libro di Gänswein, può essere data una risposta ‘autorevole’ ad alcune domande. In questi ultimi anni il dibattito non solo a livello locale ma anche in una dimensione più ampia sia ad intra come ad extra della Chiesa cattolica, ha prodotto pubblicazioni e teorie, sul rapporto tra Benedetto XVI e Celestino V e sul modo con cui il loro incontro prima a L’Aquila e poi a Sulmona, posso avere dato elementi di riflessione a papa Benedetto XVI, sulla possibilità delle sue dimissioni.
Sono passate poche settimane dalla morte del papa emerito Benedetto XVI, e gradualmente emergono in superfice informazioni utili per dare una risposta chiara alle domande che accompagnano il dibattito sulle dimissioni di Papa Ratzinger e l’apporto dato dall’incontro con Celestino V.
Pochi giorni dopo i funerali presieduti in Piazza S. Pietro dal Santo Padre Papa Francesco per il suo predecessore, mons. Georg Gänswein, segretario personale di Benedetto XVI e Prefetto della Casa Pontificia, insieme al giornalista Saverio Gaeta, hanno pubblicato un libro, edito da Edizioni Piemme, di 334 pagine, dal titolo: Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI.
Leggendo il libro di Gänswein, è interessante scoprire alcuni passaggi della vita di Benedetto XVI, nel suo rapporto con la terra aquilana e con papa Celestino V, soprattutto all’indomani del sisma del 2009.
Emozioni, gesti, simboli della visita di Benedetto XVI a L’Aquila per incontrare i cittadini aquilani, colpiti il 6 aprile 2009, finalmente trovano una chiave di lettura proprio nella testimonianza dell’Arcivescovo Gänswein.
Nel testo si afferma che i contesti delle due rinunce al papato sono diversi, ma che la vita dei due papi si è incrociata più volte.
In particolare modo, ricordando la visita del 28 aprile 2009, si sofferma sul gesto compiuto da benedetto XVI, nella basilica di S. Maria di Collemaggio, in cui si svelano i ‘retroscena’ di un gesto compiuto da Benedetto XVI, cioè quello di donare a papa Celestino V, il pallio del suo inizio pontificato.
Afferma Gänswein che ‘non si trattò di un gesto simbolico che voleva preannunciare l’idea della rinuncia. Piuttosto fu un garbato modo per onorare il suo santo predecessore e riconoscerne la coraggiosa decisione, e nel contempo valorizzare con quella esposizione un paramento che non aveva più in animo di indossare’.
Inoltre, nei passaggi successivi, legando ancor di più le persone di Papa Benedetto XVI e di Celestino V, si fa riferimento a un altro passaggio della storia recente di Celestino V, che purtroppo è stata motivo di non poca sofferenza per alcuni dei protagonisti di questo fatto, cioè la recognitio del corpo di Celestino V.
E qui interessante notare come, invece, nello sguardo di Benedetto XVI e del suo segretario particolare, il fatto sia stato letto in modo provvidenziale e come lo stesso mons. Gänswein abbia letto correttamente la scelta stilistica dei nuovi paramenti e ‘accessori’ per il Santo Papa eremita.
Infatti il pensiero di mons. Molinari e del suo Vicario Episcopale per il Culto e la Santificazione che all’epoca curò con la ditta LAVS la realizzazione dei nuovi paramenti liturgici disegnati dallo stilista Filippo Sorcinelli e l’anello del pescatore, la croce pettorale e gli spilloni, realizzati da Oro Art di Laura Caliendo, tutto realizzato gratuitamente, furono armonizzati con il pallio donato da Benedetto XVI a Celestino V, che per poter essere collocato all’interno dell’urna, necessitava nuovi paramenti con foggia medievale.
Nelle pagine del libro di Gänswein, si fa riferimento alla frase di Dante, «che fece per viltade il gran rifiuto» (Inferno III,60), fatta attribuire dal sommo poeta a Celestino V. In realtà, il tema della “viltade”, è stato deviato da un’errata concezione del pensiero dantesco.
Infatti studi recenti come quello di Del Signore, della Burani e di Iannucci, tendono a dimostrare e lo fanno in modo molto chiaro, che Dante non si riferì mai a Celestino V come uomo del “gran rifiuto”, ma probabilmente al cardinale Matteo Rossi Orsini, il quale, il 23 dicembre 1294, nel conclave di Napoli, essendo stato indicato addirittura al primo scrutinio, rifiutò l’elezione a Pontefice e come decano del Sacro Collegio, si adoperò affinché fosse eletto papa il card. Caietani, futuro papa Bonifacio VIII. Teniamo inoltre presente, che Dante, maestro per tutti nell’uso corretto della terminologia italiana, sapeva ben distinguere tra rinuncia e rifiuto, che ovviamente indicano due scelte completamente diverse. Rifiuta chi ancora non ha; Celestino V invece rinunciò a quel che aveva, al pontificato. Per questo argomento cfr. DEL SIGNORE Enrico, Non fu di Celestino V il “Gran Rifiuto”, Rotatori, Roma, 1984; IANNUCCI Giovanni, L’ombra di colui, Tontodonati, Pescara, 1969; BURATTI Maria, Celestino V papa eremita e santo, Città Nuova, Roma 1993.
Riportiamo il passaggio in cui l’Arcivescovo Ganswein, parla del rapporto di Papa Benedetto XVI con Celestino V, pubblicato nel libro G. Gänswein con S. Gaeta, Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI, PIEMME 2023, 211-214.
‘ … Certamente la sua rinuncia si è posta in un contesto diverso rispetto a quella che il 13 dicembre 1294 fece Celestino V, il Papa eremita da tanti richiamato in questa circostanza. Però è indubbio che Benedetto ha più volte incrociato la propria vita con quel monaco «che fece per viltade il gran rifiuto» (Inferno III,60), come l’avrebbe apostrofato Dante nella Divina commedia, o piuttosto che la Chiesa ha proclamato santo e che il Martirologio romano ricorda così: «Esercitata la vita eremitica in Abruzzo, rinomato per fama di santità e di miracoli, a 80 anni fu eletto Romano Pontefice e assunse il nome di Celestino V, ma nello stesso anno abdicò dal suo ufficio e preferì ritirarsi in solitudine».
Sugli schermi televisivi sono state riproposte più volte le immagini del 28 aprile 2009, quando Papa Ratzinger, durante la visita nelle zone terremotate dell’Abruzzo, si recò nella basilica di Collemaggio a L’Aquila per venerare le spoglie di Papa Celestino. Tutti furono colpiti dal fatto che Benedetto depose sull’urna il suo pallio da Pontefice, ma assolutamente non si trattò di un gesto simbolico che voleva preannunciare l’idea della rinuncia. Piuttosto fu un garbato modo per onorare il suo santo predecessore e riconoscerne la coraggiosa decisione, e nel contempo valorizzare con quella esposizione un paramento che non aveva più in animo di indossare.
Infatti quel pallio era stato utilizzato da Benedetto per iniziativa del maestro delle Celebrazioni Piero Marini, che lo aveva fatto realizzare prima della morte di Giovanni Paolo II su un modello risalente ai primi secoli cristiani, in relazione a una propria convinzione teologico-liturgica. Però, incrociato sul lato sinistro con la sua forma allungata e asimmetrica, come il carattere Ч, quel pallio risultava decisamente scomodo, poiché spesso cadeva dalla spalla, mentre la preferenza del Pontefice andava a quello di forma più simmetrica e ovale con il lembo pendente al centro del petto, simile alla lettera. Cosicché, quando l’arcivescovo diocesano Giuseppe Molinari gli propose di fare un atto d’omaggio a Celestino V, Benedetto accettò volentieri e partì da Roma già con la precisa idea di donare quel pallio, che esplicitamente chiese al nuovo maestro Guido Marini di portare con sé, non essendo previste celebrazioni che ne avrebbero richiesto l’utilizzo. E ricordo bene come con monsignor Guido sorridemmo riguardo al modo in cui il Pontefice aveva risolto con finezza una situazione sgradita. Benedetto comunque non commentò in alcun modo l’episodio, poiché era appena rimasto molto scosso dalle immagini dei danni causati dal sisma del 6 aprile e per di più, da tedesco, provava anche costernazione per l’eccidio che era stato compiuto proprio a Onna nel giugno del 1944 dai soldati nazisti.
Il 4 luglio 2010, poi, compì una visita pastorale a Sulmona, in occasione degli ottocento anni dalla nascita di Celestino V. A causa del sentiero disagevole, non poté recarsi all’eremo di Sant’Onofrio al Morrone, dove nel 1294 il monaco Pietro Angelerio venne raggiunto dai cardinali che gli comunicarono l’elezione a Pontefice. Ma accolse l’invito del vescovo diocesano Angelo Spina e andò a omaggiarne le reliquie nella cripta della cattedrale.
Anche qui c’era il collegamento a un antico ricordo, poiché il battaglione del fratello Georg, costretto nel 1942 ad arruolarsi nell’esercito tedesco (durante la ritirata venne anche ferito), si era attestato da queste parti, lungo la cosiddetta “linea Gustav”. Nel 2008 monsignor Georg si era recato a rivedere quei luoghi ed era stato accolto dalla co- munità locale, potendo così fare in qualche modo anche pace con se stesso e il suo passato. Tornato in Vaticano, Georg raccontò durante il pranzo questa sua esperienza al fratello Joseph, il quale perciò, quando ricevette l’invito dal vescovo Spina, lo accettò subito e volentieri.
Infine, è singolare la coincidenza tra gli ultimi giorni di Benedetto da Pontefice e la ricognizione canonica sulle spoglie di Celestino V, prelevate il 21 febbraio 2013 a Collemaggio, in occasione del 700° anniversario della sua canonizzazione. Quando la reliquia è tornata nella basilica, i paramenti settecenteschi che rivestivano il santo sono stati sostituiti con altri, di fattura moderna ma stilisticamente ispirati a quelli dei Pontefici medioevali, per i quali è degno coronamento il pallio lasciato da Benedetto’.