di Marco Morante – Prendo atto della replica di Paolo della Ventura alle mie riflessioni, frettolose come si confà all’uso che intendo di facebook ma non superficiali (come andrò a dimostrare), e mi presto volentieri al “confronto sui fatti che contano” che io stesso avevo inteso ingaggiare.
Proprio perché credo sia un fatto che conta molto nella vita di tutti i giorni come nell’economia generale, aquilana ed italiana, mi è sembrato giusto muovere un appunto a chi, con più o meno competenza, incarna in qualche modo la speranza di rappresentazione del problema e che, però, sembra non trovare il bandolo della matassa.
Sorvolando su Pietrucci che, per ora, ne ha parlato in modo surreale (per non dire strumentale), Civati e compagni lo affrontano a mio parere con l’approccio di chi vuol guarire i tumori con l’aspirina (ipotesi che – rimanendo nella metafora – la comunità scientifica internazionale non esclude prendendola però in considerazione con grande cautela).
Mi si perdoni l’abuso della metafora, ma la diffusione insediativa che consuma suolo è una metastasi di cui è possibile conoscere le cause generanti. Allora perché non attaccare quelle cause che, tornando a noi, sono varie ma tutte limitabili con una mirata atrofia infrastrutturale?
Quel che intendo dire (e che avevo già spiegato nei link riportati nella mia iniziale riflessione) è che basterebbe non permettere questa grande “facilità” di movimento all’interno della stessa area urbana (rotonde, nuove corsie, nuove strade), che poi è ciò che ci riduce così tanto tempo in macchina per fare la più semplice delle commissioni, con buona pace della qualità della vita e non solo. Devo allora ripetere, con altre parole, quel che ho già detto nella mia prima riflessione: va benissimo imporre la “verifica di possibili alternative” come Della Ventura ha voluto ribadire ed ampliare, dimenticando che ne avevo già accolto la validità; va malissimo, come è riportato nell’ampliamento, far decadere lo ius edificandi dopo soli cinque anni per il semplice motivo che, in Italia, quando si mette una limitazione temporale tutti faranno la corse a porre la prima pietra entro il tempo limite pur di non perdere il diritto, con il risultato di trovarsi un paesaggio di incompiute; è un buon incentivo per altre forme di economia, ma non aiuta di certo a limitare la diffusione insediativa, favorire il ripristino delle colture nei terreni agricoli incolti, abbandonati, inutilizzati.
Ero e sono dunque a richiedere una mano più forte rispetto all’encomiabile proposta di legge del gruppo Civati in Parlamento (che ora ho letto per intero, dovendo confermare la mia critica). Ero e sono a dissentire con quella mitezza del non promettere rivoluzioni, chiedendo su questo tema di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Non basta avvertire il problema, serve risolverlo!
Se a L’Aquila fosse stata limitata la proliferazione infrastrutturale che ha rincorso l’esplosione delle casette e delle C.A.S.E. (ed il problema è stato posto in tempo) non ci ritroveremmo in una condizione di non-ritorno dalla dispersione. Se in Italia non si farà se ne pagherà un prezzo via via più alto rispetto a “I costi collettivi della città dispersa” (Camagni, Gibelli, Rigamonti – 2002) che già paghiamo; porteranno ad una sostanziale ingovernabilità del territorio, ben lungi dal riguardare la semplificazione binaria “agricoltura sì/agricoltura no”.