Dopo aver lasciato le Marche ci dirigiamo verso l’Abruzzo, saremo ospiti della Regione per 3 notti, la prima tappa è doverosa: l’Aquila.
Percorrendo l’autostrada ammiriamo la maestosità del Gran Sasso. E facciamo un po’ gli scemi…
Su L’Aquila, sul centro storico ancora tutto transennato, sulla zona rossa, sul silenzio (che io non ho vissuto ma che ha vissuto Vito che si era allontanato per fare delle foto), sul fatto che la ricostruzione non è ancora partita, sulle colpe, su quello che si poteva e o si potrebbe fare è stata già detto tutto e da tutti ed io non ho molto di più da aggiungere.
Quello che ho percepito è che una città che sta decidendo di vivere nel ricordo di quello che è stata, di quello che è avvenuto.
Forse hanno deciso di lasciare tutto così perché è troppo doloroso ricominciare lì, forse hanno deciso che il ricordo è più importante e rispettoso che ricostruire, anche se vi sono colpe politiche o economiche certo è che non ho percepito “ricostruzione” ma una lenta rassegnazione a quello che è ed è stata l’Aquila.
Ricordare può essere una scelta ma nulla ha che vedere con la ricostruzione. Quando si decide di ricostruire non si mettono delle “pezze”, come quelle che ci sono nella Piazza del Duomo ma dei mattoni. Mettere una pezza vuol dire che si crede che la propria città è da rattoppare e non da costruire.
Una pezza è rassegnazione e non rinascita.
Ma poi c’è la voglia e la grinta di persone come Giovanni Mangione, che abbiamo conosciuto attraverso Shoot 4 Change, infatti collabora con loro come fotografo per documentare quello che è avvenuto ed avviene all’Aquila.
Lui non ha voglia di rivedere la sua città ricostruita, lui ha l’esigenza vitale di poter passeggiare per il centro della sua città, ha deciso di non trasferirsi in una altra regione perché quella è la sua casa e li vuole vivere. Questo video racconta molto dellAquila.
Credo che gli aquilani dovranno solamente decidere se metterci sopra una pezza e un fiore oppure un mattone e un tetto, qualsiasi sia la loro decisione è che L’Aquila di un tempo non c’è più.
di Ritex, da Vanity Fair.it