Medici di famiglia: ‘esemplari’ in via d’estinzione
L'allarme dell'ordine dei medici: nel giro di poco tempo nei Comuni 'disagiati' e lontani mancheranno i medici di medicina generale. Le colpe e le responsabilità della politica nazionale e regionale: "Si sarebbe dovuto programmare per tempo". Al ministero parte l'iter per nominare i referenti regionali all’interno degli ordini dei medici
di Marianna Gianforte | 08 Febbraio 2023 @ 05:10 | SALUTE E ALIMENTAZIONE
L’AQUILA – Si fa presto a dire “lotta allo spopolamento”, quando persino i medici di medicina generale nei Comuni montani non ci sono più. Sono diversi i piccoli centri dell’Aquilano nei quali i medici di famiglia, e cioè l’anello più importante della medicina territoriale, sono andati in pensione senza avere un successore oppure stanno per andare via. Una inesorabile fine come la macchina di Thelma e Luise a picco sullo strapiombo del Grand Canyon; sì, perché una volta andati in pensione per questi medici non esiste alcun modo per essere rimpiazzati e, semplicemente, scompariranno. Si tratta proprio dei luoghi in cui si concentra la popolazione più anziana, i Comuni con più scarse infrastrutture e pochi servizi, senza scuole, uffici postali, banche e farmacie. Adesso rischiano di non poter più contare nemmeno sui medici. Si fa presto, per l’appunto, a dire: “Incentivi per le giovani coppie che decidono di stabilirsi nei Comuni più piccoli” (vedi la legge regionale licenziata circa un anno fa), se poi quelle giovani coppie non sanno a quale santo votarsi per un’influenza o un’appendicite.
Una situazione, quella della carenza di medici di famiglia che fa il paio con la situazione generale denunciata da tutti i sindacati dei medici e dalla Cgil sulla lenta espoliazione del personale ospedaliero e sull’imminente scomparsa, anche in questo caso dovuta all’immobilismo della politica, dei nuclei di cura primaria (le associazioni di medici di famiglia con ambulatori aperti 12 ore al giorno, dove si può ricevere assistenza e servizio medico e infermieristico e di segreteria), per la quale i sindacati sono da giorni in stato di agitazione.
“La questione medici di medicina generale è finita nel dimenticatoio della politica da anni, trasversalmente. I problemi stanno per venire al pettine dopo 20 anni in cui denunciamo la situazione, ma mai nessuno ha fatto ciò che serviva. E ora siamo al collasso”, dice duramente il presidente dell’ordine dei medici della provincia dell’Aquila, Maurizio Ortu. E cosa andava fatto? “Si sarebbe dovuta programmare la formazione dei giovani medici per tempo. Non è un discorso di numero chiuso o numero aperto – spiega Ortu, come già aveva chiarito a questo giornale – ma di ‘numero programmato’ in base alle esigenze del territorio, settore per settore. I medici di famiglia attivi oggi nell’Aquilano sono entrati quasi tutti dopo il 1978, anno in cui cambiò la legge sul Sistema sanitario nazionale. Sono tutti più o meno coetanei che stanno per andare in pensione, tutti insieme perché quasi tutti ultrasessantenni”. E la scuola triennale post lauream dell’Aquila per medici di famiglia riesce a ‘sfornare’ all’incirca una ventina di medici. “Sarebbe stato sufficiente programmare le entrate in base alle uscite – spiega Ortu – non si pouò adesso improvvisamente coprire una tale carenza, anche perché, altrimenti, poi avremmo un eccesso di medici, cosa già avvenuta negli anni passati, con tanti di loro che non hanno lavorato. Sarebbe bastato prendere l’età dei medici attivi e regolarsi per il loro pensionamento”. E chi avrebbe dovuto farlo? “Non è di certo l’ordine dei medici che deve farlo: tocca alla politica, ai legislatori a livello centrale e regionale”. E questo si traduce anche ella perdita di sapere, di conoscenza e di esperienza, in quanto non potrà verificarsi un affiancamento tra ‘medici anziani’ e medici giovani.
E allora come si fa, dove li prendiamo i medici? “Non sappiamo dare una risposta a questa domanda – chiosa il presidente dell’ordine dei medici -; e neppure i medici vicini alla pensione possono volontariamente continuare a lavorare, perché la legge non lo consente ed è già capitato che alcuni hanno perso il ricorso al Tar. Per consentire ai medici in pensione di esercitare anche dopo la pensione, servirebbe in accordo sindacato-ministero, ben esplicitato e chiaro”. Tradotto, se in uno dei Comuni cosiddetti ‘disagiati’ il medico dovesse andare in pensione, non esiste al momento alcun modo per sopperire, perché la legge non lo consente e prima che un accordo tra sindacati medici e ministero si sostanzi, ci vorranno anni di incontri, trattative, definizioni. Ortu sottolinea ancora, come i cittadini già sperimentano sulla loro pelle tutti i giorni, che “mancano anche tutti gli specialisti: pediatri, anestesisti, internisti; ma anche i liberi professionisti sono sempre più carenti, per non parlare degli odontoiatri. Occorre aumentare il numero degli specializzati”. Come? Andando a tastare le esigenze effettive dei territori, delle regioni, e, ci risiamo: programmando. “A livello ministeriale sembra che finalmente sia partito un percorso per nominare dei referenti regionali all’interno degli ordini dei medici – dice Ortu – uno per ogni Regione e per ogni Provincia autonoma, che potranno far presenti le carenze mediche dei territori. Lo Stato e le Regioni devono ascoltare gli ordini dei medici presenti nei territori – incita Ortu – e invece non lo ha mai fatto nessuno in nessuna parte d’Italia: eppure l’ordine è sussidiario dello Stato”.
Rincara la dose anche il segretario provinciale provinciale della Federazione dei medici di medicina generale della provincia dell’Aquila Vito Albano: “Per quanto riguarda i medici di medicina generale la Asl ha varie carenze e ha pubblicato una serie di bandi, che, tuttavia, resteranno deserti: 13 riguardano L’Aquila, altri i territorio, tra cui, per fare un esempio, il Comune di Capitignano. Si tratta di ‘zone disagiate’ per le quali, secondo il nostro parere, servono inventivi ai medici di medicina generale per farli restare; altrimenti – chiede Albano – chi avrà voglia di stabilirsi a Capitignano, o a Montereale, o a Campotosto potendo scegliere, invece, la città? L’appello che facciamo alla Regione è di dare vita finalmente a una norma che incentivi i giovani medici a lavorare nei piccoli centri montani o delle aree più lontane dalle città: una richiesta fatta più volte, delle quali l’ultima a novembre”. Per ora, insomma, tutto tace e per la prima volta nella storia del Sistema sanitario, per lo meno locale ma non stupirebbe se fosse a livello nazionale, non ci sono medici di medicina generale. “E’ la prima volta che ci sono più carenze che presenze di medici; è la prima volta che avviene un pensionamento a tappeto, con pochissimi ingressi di medici di famiglia. Le Regioni hanno programmato male – sottolinea Albano -. Tramite la scuola di formazione dell’Aquila, sino al 2019 entravano 20 medici, ma se ne vanno in pensione 300, per fare un esempio estremo, cosa possono tamponare 20 neo medici? Se non si prevederanno incentivi per le zone carenti, e se non si programma il numero necessario dei medici, sino al 2030-31 staremo nelle stesse condizion idi oggi; poi pian piano i posti si satureranno, con l’ingresso di medici di 30-40 anni che non andranno in pensione subito. Ci vuole l’intelligenza di pensarci per tempo. E con l’autonomia differenziata sarà – conclude Albano – sarà anche peggio”.
E intanto proprio questa mattina si terrà la procedura di raffreddamento alla prefettura dell’Aquila, dove sono stati convocati i sindacati di settore Fimmg, Snami, Smi; mentre domani, giovedì 9, sarà la volta della Cgil, che ha unito le sue forze alla vertenza in difesa dei lavoratori di segreteria che rischiano di perdere il posto di lavoro se i nuclei di medicina primaria dovessero scomparire. Insomma: altro che diritto costituzionalmente riconosciuto: quello alla salute è sempre più un diritto per pochi privilegiati.