L’orso sul Gran Sasso, storia di un ritorno. E’ un maschio ancora senza nome
di Alessio Ludovici | 31 Marzo 2021 @ 06:00 | AMBIENTE
L’AQUILA – Non ha ancora un nome e a questo punto possiamo anche lanciare un sondaggio per trovargliene uno. L’ultimo avvistamento, invece, c’è stato probabilmente l’altro ieri, nella zona di Montereale. Le indagini sui campioni arriveranno più in là ma potrebbe trattarsi sempre di lui, l’orso bruno che da poco più di un anno staziona nell’areale del Parco Nazionale Gran Sasso Monti della Laga. Un gradito e atteso arrivo.
Per gli zoologi del Parco, e non solo, la notizia era più che altro che l’orso qui non ci fosse. Estinto, come cervi e camosci poi reintrodotti. Ora c’è anche l’orso, è tornato ed è una bellissima notizia che dà lustro a tutto il territorio. E’ una bellissima notizia anche da un punto di vista ambientale. “L’orso è uno dei principali indicatori di qualità ambientale”, spiega il nostro amico Federico Striglioni che lavora presso il Parco nazionale Gran Sasso Monti della Laga. Il parco da dieci anni fa parte del Potom, il Piano d’Azione nazionale per la tutela dell’orso bruno Marsicano.
L’orso, come vedremo, non ha una vera e propria specifica funzione nella catena alimentare, ma è una cosiddetta specie bandiera. Vuol dire che se può viverci lui ci sono le condizioni affinché ci vivano tanti altri animali, compresi noi. E’ una specie, però, ancora in via di estinzione. “Sono una cinquantina gli esemplari nel Parco Nazionale d’Abruzzo. Fuori i numeri sono più incerti ma se ne stimano una quindicina”. Appena 65 esemplari di Orso bruno marsicano.
Stargli dietro non è facile. “Dopo ogni avvistamento bisogna andare lì, recuperare tracce, pelo, feci, inviare tutto all’Ispra per vedere se è un orso nuovo o un orso già noto.” Proprio grazie a questo meticoloso lavoro si è riusciti ad individuare l’orso del Gran Sasso, un esemplare non noto.
Dal 2019 una serie di avvistamenti e la conferma
Una prima traccia risale all’11 novembre del 2019, nella zona di Vado di Corno, sul versante teramano del Gran Sasso. Poi a Maggio 2020 l’avvistamento sul Voltigno, nel settore pescarese del Parco, era sempre lui, il nostro orso senza ancora un nome. Infine l’estate scorsa la conferma, quando è stato una decina di giorni a Monte San Franco, dove una cavalla era morta cadendo e l’orso se ne è cibato. Il nostro orso non caccia, questo va specificato subito. “Pur essendo censito tra i carnivori – racconta Federico – è di fatto un vegetariano, a meno che non incontra qualche carcassa. A differenza del lupo, che ha dei molari fatti per tranciare, quelli del nostro orso sono uguali ai nostri, fatti per macinare.”
L’ultimo avvistamento, almeno fino a prova contraria perché ancora non c’è certezza che sia lui, a Montereale, dove ha rubato del miele da un’arnia. “Fino all’altro ieri è stato un galantuomo, non ha mai fatto un danno” specifica Striglioni. In ogni caso i danni dell’orso sono anch’essi indennizzati ed in modo molto più semplificato proprio per l’importanza della tutela della specie. Poi per le arnie ci possono essere ulteriori accorgimenti, recinzioni elettrificate, ecc.
Dal punto di vista della specie la presenza di un solo orso maschio non cambia molto le cose. Prima o poi quando sarà più adulto dovrà andare in cerca di una femmina, o dovremmo sperare che una femmina faccia anche lei il passaggio.
Orso, da dove arriva e che caratteristiche ha
E si perché questi orsi arrivano tutti dal nucleo salvato dal Parco Nazionale d’Abruzzo. Nel parco della Maiella ci sono state già riproduzioni. “Gli orsi hanno bisogno di espandere il loro areale, i maschi adulti commettono infanticidio, e quindi i più giovani per sopravvivere devono assolutamente potersi spostare in nuove zone”. Non è così facile. In teoria i nostri parchi, Abruzzo, Sirente Velino, Gran Sasso, Maiella, e quello dei Sibillini tra Umbria e Marche dovrebbero garantire una diffusione molto più ampia dell’orso. “Sono 5mila km quadrati di aree protette”. Purtroppo però mancano le aree contigue, che pure le leggi prevedevano, aree di protezione gradualmente minore che potevano favorire certi processi. “Ad esempio la caccia al cinghiale in braccata nelle aree non tutelate è un problema, perché per l’orso diventa quasi impossibile spostarsi. In nord Europa sono diffuse forme di caccia, per appostamento, più rispettose”. Stesso discorso per barriere come strade e autrostrade.
Ma allora come è arrivato l’orso? “Attraverso dei corridoi ecologici. Le ipotesi sono le Gole di Popoli, al confine tra Parco della Maiella e del Gran Sasso, oppure dal Sirente dove c’è una lunga area boscata che arriva fino a Civitarenga e poi da lì al Parco del Gran Sasso è un attimo”.
Ma è pericoloso? “No assolutamente, ci sono addirittura degli studi che hanno dimostrato che al nostro orso, che in ogni caso è più piccolo di quello che si trova in Trentino, manca un gene responsabile dell’aggressività. In ogni caso non parliamo del Grizzly, anche se classificato tra i carnivori non pratica più la caccia, si è evoluto così nel corso dei secoli. In più un po’ come il lupo sono sopravvissuti i più timidi e diffidenti. L’orso può essere pericoloso solo se ci si comporta in modo sbagliato. Se lo si incontra, quindi, è fondamentale non avvicinarsi e farsi sentire, dopodiché basta allontanarsi lentamente”.
Per il nostro territorio si apre una pagina probabilmente nuova. La presenza dell’orso deve renderci orgogliosi e bisogna avere consapevolezza che la sua presenza è una ricchezza. Investimenti ed avvelenamenti sono gli elementi di pericolo principale per l’orso. Ma la paura ingiustificata o il risentimento possono esserlo altrettanto. “E’ importantissimo spiegare, fare educazione ambientale e aver un buon rapporto con le comunità e con gli allevatori” conferma anche Federico. “In Romania in 5mila kmq vivono migliaia di orsi, qui sono sono appena 65.”
La loro presenza deve essere un’occasione. “C’è posto per tutti qui, per gli animali e per gli uomini che dopo quello che è successo con la pandemia probabilmente preferiranno lasciare le grandi città”. Sono loro, i grandi agglomerati urbani, ad aver svuotato le montagne e i borghi, non la tutela dell’ambiente che al contrario sarà uno degli elementi per ripopolarle.