L’incontro di San Pietro Celestino V con i Papi degli ultimi cinquant’anni

di don Daniele Pinton | 29 Agosto 2021 @ 06:00 | CREDERE OGGI
Celestino V
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Durante la presentazione del Programma religioso della 727a Perdonanza celestiniana, il Cardinale Arcivescovo Giuseppe Petrocchi, ha in un certo qual modo spiazzato i presenti, annunciando di avere invitato per la 728a Perdonanza Papa Francesco, non solo come precedentemente aveva annunciato, per benedire il cantiere della Cattedrale di S. massimo, che dopo dodici anni dal sisma del 2009, ancora stenta a partire, ma per il quale ci sono date certe nel 2022, ma anche per aprile la Porta Santa di Collemaggio.

Già in passato, in più occasioni, mons. Giuseppe Molinari, predecessore del Cardinale Petrocchi come Arcivescovo Metropolita di L’Aquila, aveva cercato di invitare papa Giovanni Paolo II, ma gli impegni del Pontefice, avevano lasciato un po’ ‘l’amaro in bocca’ per la non riuscita visita apostolica per aprile la Porta Santa di Collemaggio. E in questo, in più occasioni, anche la comunità civile aveva tentato di ottenere anche una rapida visita di un pontefice, per ridare importanza a un Giubileo, che quasi sembrava essere stato ‘accantonato’ dalla storia.

Papa S. Celestino V, è stato motivo di riflessione anche di altri tre Pontefici degli ultimi cinquant’anni, cioè dei papi S. Paolo VI, S. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Il 1 settembre 1966, papa Paolo VI, si recò in visita, pochi giorni dopo la Perdonanza celestiniana, nella Città di Fumone, luogo dove era morto ‘imprigionato’, dopo l’abdicazione papa Celestino V.

In quell’occasione, papa Montini ebbe ad affermare che il suo principale scopo della visita era quello di rendere onore a San Celestino V perché fu Papa, fu santo e morì a Fumone. Dalla vita di San Celestino il Papa trasse due insegnamenti. Poco tempo dopo la sua visita a Fumone, anche di Paolo VI, come di Benedetto XVI, che poi realmente lo fece, si iniziò a parlare di una sua riflessione sulla possibilità di dimettersi da Papa, qualora le forze, fossero venute meno.

Il primo insegnamento ce lo dà la storia, che ci riporta a circa 700 anni or sono, mentre il medioevo si avvia al suo tramonto e fa vedere già l’alba di nuove condizioni di vita per Roma, per l’Italia, per l’Europa intera. La figura di Celestino V, come Pontefice, ci richiama alle origini della Chiesa, all’investitura data da Nostro Signore a San Pietro e ai suoi Successori: dobbiamo meditare su questa continuità apostolica, che supera vicende le quali sembrano le meno propizie e si perpetua fino a noi e nei secoli avvenire perché c’è il dito di Dio, una presenza divina nella Chiesa. Ecco il tempo di Pietro di Morrone: ventisette mesi di interregno nella Sede Apostolica; i Cardinali ridotti a dodici e in contrasto tra loro; tempi terribili. E Pietro Morrone, il santo eremita, è eletto ed è invitato ad ascendere sulla Cattedra di Pietro. Dopo aver esitato, accetta per dovere, e fa ingresso in Aquila sopra un asinello, come Nostro Signore, ma trova là due Re ad attenderlo. Ecco l’essenza della Chiesa, ecco il destino di Roma sede del Successore di Pietro: ovunque la decadenza è fatale, ma nella Chiesa c’è un carisma, c’è la promessa e la presenza divina: «Io sarò con voi fino alla fine dei secoli». Questo è il miracolo vivente del cattolicesimo. Il secondo insegnamento è dato dalla santità, dall’intreccio delle virtù cristiane con tutte le miserie e umane debolezze, che ne sono superate. San Celestino V, dopo pochi mesi, comprende che egli è ingannato da quelli che lo circondano, che profittano della Tua inesperienza per strappargli benefici. Ed ecco rifulgere la santità sulle manchevolezze umane: il Papa, come per dovere aveva accettato il Pontificato supremo, così, per dovere, vi rinuncia; non per viltà, come Dante scrisse – se le sue parole si riferiscono veramente a Celestino – ma per eroismo di virtù, per sentimento di dovere. E morì qui, segregato, perché altri non potesse profittare ancora della sua semplicità ed umiltà, e la morte non fu per lui la fine, ma il principio della gloria, oltre che nel paradiso, anche sulla terra.

Papa Giovanni Paolo II, nella sua visita pastorale all’Aquila, il 30 agosto 1980, il giorno successivo alla chiusura della Perdonanza celestiniana, che ancora si celebrava in modo sobrio nella basilica di Collemaggio, dopo avere visitato la cattedrale di S. Massimo a Piazza Duomo, presiedette una solenne eucaristia, proprio davanti alla basilica di S. Maria di Collemaggio, per il sesto centenario della nascita di San Bernardino da Siena. In quell’occasione, pur fermandosi a lungo in preghiera davanti al mausoleo di papa Celestino V, non disse nulla di lui, durante l’omelia e per anni molti si domandarono il motivo di quel silenzio.

Però, in un’altra occasione, cioè nella sua visita pastorale in Abruzzo, il 30 giugno 1985, parlando alla comunità civile di Atri, dei Santi della terra d’Abruzzo, fece riferimento a celestino V e disse:

Pietro di Morrone, l’eremita della montagna, che dagli spettacoli naturali traeva spinta per elevarsi alle vette della pura contemplazione, e che, divenuto Celestino V, rimase sempre avvinto – mente e cuore – al fascino della solitudine contemplativa.

Infine, papa Benedetto XVI, ha incontrato Papa Celestino V due volte. La prima occasione, contrassegnata da un gesto profetico, cioè la consegna del suo Pallio papale, con il quale aveva iniziato il ministero petrino, avviene a L’Aquila, il 28 aprile 2009 a L’Aquila, quando, incontrando i terremotati, per il sisma che il 6 aprile 2009 aveva colpito la città di L’Aquila, visita la Basilica di Collemaggio devastata dal sisma, entrando dalla Porta Santa della Basilica celestiniana, dove, quasi volendo superare i cordoni di sicurezza che delimitavano uno spazio sicuro dai crolli di una basilica quasi distrutta,   si era raccolto davanti all’urna con le spoglie di san Celestino V, rimasta intatta nel mausoleo, per miracolo e vi aveva deposto con un gesto di umiltà e d’intenso raccoglimento il suo Pallio di pontefice. Non vi furono parole, in quel momento, ma un gesto simbolico di riscatto di papa Celestino V, ma anche profetico, per quello che avrebbe fatto tre anni dopo, con le sue dimissioni. 

Nel 2010, in occasione della visita pastorale alla città di Sulmona, luogo dove era germinato l’Ordine celestino, il 4 luglio 2010, nell’800° anniversario della nascita di Pietro Angelerio del Morrone, Papa Benedetto XVI, durante l’omelia ha affermato che

San Pietro Celestino, pur conducendo vita eremitica, non era “chiuso in se stesso”, ma era preso dalla passione di portare la buona notizia del Vangelo ai fratelli. E il segreto della sua fecondità pastorale stava proprio nel “rimanere” con il Signore, nella preghiera, come ci è stato ricordato anche nel brano evangelico odierno: il primo imperativo è sempre quello di pregare il Signore della messe. Ed è solo dopo questo invito che Gesù definisce alcuni impegni essenziali dei discepoli: l’annuncio sereno, chiaro e coraggioso del messaggio evangelico – anche nei momenti di persecuzione – senza cedere né al fascino della moda, né a quello della violenza o dell’imposizione; il distacco dalle preoccupazioni per le cose – il denaro e il vestito – confidando nella Provvidenza del Padre; l’attenzione e cura in particolare verso i malati nel corpo e nello spirito. Queste furono anche le caratteristiche del breve e sofferto pontificato di Celestino V e queste sono le caratteristiche dell’attività missionaria della Chiesa in ogni epoca. […] Tutto questo non distoglie dalla vita, ma aiuta invece ad essere veramente se stessi in ogni ambiente, fedeli alla voce di Dio che parla alla coscienza, liberi dai condizionamenti del momento! Così fu per san Celestino V: egli seppe agire secondo coscienza in obbedienza a Dio, e perciò senza paura e con grande coraggio, anche nei momenti difficili, come quelli legati al suo breve Pontificato, non temendo di perdere la propria dignità, ma sapendo che questa consiste nell’essere nella verità. E il garante della verità è Dio. 

Infine, di papa Francesco, il suo legame con Celestino V, è certamente evidenziato dal modo di concepire il papato, cioè al servizio umile del Vangelo. Un elemento oggi può essere utile, nei disegni della Provvidenza che nulla lascia al caso: papa Francesco, fu ordinato sacerdote il 13 dicembre 1969, giorno in cui, a Napoli, davanti alla corte papale diede le dimissioni da pontefice e riprese a vivere nella povertà, cosa che l’attuale Pontefice ha fatto dal primo giorno del suo servizio petrino.

L’annuncio del Cardinale Arcivescovo Giuseppe Petrocchi, della possibile visita di Papa Francesco, a L’Aquila nel 2022, non solo potrebbe essere l’occasione tanto agognata dagli aquilani, per una rivalorizzazione del messaggio di perdono di Celestino V, che con il suo Giubileo, anticipò quello del 1300, di papa Bonifacio VIII, ma sarebbe un significativo ripetersi di quell’attenzione per le periferie esistenziali, tanto care a papa Francesco, che proprio in ambito di Giubileo e di Porta Santa, ha visto già precedentemente una scelta papale il 29 novembre 2015, ​con il viaggio apostolico in Africa a nella Repubblica Centrafricana, dove il papa ha compiuto  un gesto senza precedenti: l’apertura della Porta Santa della Cattedrale di Bangui, che ha fatto si che l’Anno Santo non fosse aperto a Roma, ma in anticipo di una settimana rispetto alla Chiesa universale, in una terra martoriata dalla guerra, dalla fame e dalla povertà.

La Chiesa universale, celebrerà il Giubileo nel 2025, con una preparazione di circa tre anni, anche attraverso un Sinodo della Chiesa, che partirà dal basso e che si concluderà con l’apertura della Porta Santa nella Basilica di S. Pietro, la notte del 24 dicembre 2024.

Certamente mancano tre anni al Giubileo romano, ma la città di L’Aquila, che simboleggia per la tragedia del sisma che l’ha colpita nel 2009, tutte le periferie esistenziali legate alle catastrofi naturali – che hanno indotto il Cardinale Arcivescovo Giuseppe Petrocchi a costituire, primo in Italia e forse anche nel mondo, un ufficio diocesano di pastorale delle emergenze, che non solo vuole studiare i fenomeni legati alle tragedie, ma anche, alla luce del Vangelo, formulare proposte pastorali significative, da ‘esportare’ dove si vivono tragedie simili a quella aquilana – può essere un occasione di grazia per iniziare il percorso della Chiesa italiana e di quella universale, in preparazione al Giubileo del 2025.

E la 728a Perdonanza, sarà l’occasione dell’incontro di papa Francesco con il suo predecessore Celestino V, ma anche con il messaggio di umiltà e di amore alla Chiesa che ha contraddistinto il pontificato di entrambi i due papi.


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