Si sono stancamente spenti i riflettori sull’ultima visita di un ministro, Dario Franceschini, nel capoluogo di regione devastato dal sisma del 2009. Promesse, rassicurazioni, si parla persino di una commissione di inchiesta che dovrebbe valutare l’efficacia delle risorse fin qui spese, e questo nonostante si siano già espresse nel merito la Corte dei conti italiana e quella europea. Ma si sa, nel nostro Paese siamo bravissimi a farci del male senza mai risolvere davvero i problemi nevralgici. Nello specifico all’Aquila, come emerso anche dalle recenti inchieste, si registra il perdurare di una rete di intrecci che lega imprese, amministratori, professionisti. Con personaggi che si trovano spesso a ricoprire questa doppia figura. Si dirà: ma non esiste una norma specifica che dovrebbe impedire questo conflitto di interessi? Certo che esiste, sono le famose incompatibilità previste dalla cosiddetta «legge Barca».
In particolare all’articolo 67 si stabilisce infatti che «le cariche elettive e politiche dei Comuni, delle Province e della Regione, nei cui territori sono ubicate le opere pubbliche e private finanziate ai sensi del decreto legge numero 39 del 28 aprile 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 77 del 24 giugno 2009, sono incompatibili con quella di progettista, di direttore dei lavori o di collaudatore di tali opere, nonché con l’esercizio di attività professionali connesse con lo svolgimento di dette opere, ivi comprese l’amministrazione di condomini e la presidenza di consorzi di aggregati edilizi». Il problema risiede nel fatto che il dispositivo normativo così «confezionato» all’Aquila non funziona, e sono stati davvero pochi gli amministratori che sono incappati nelle sue larghe maglie, il più famoso dei quali è stato l’architetto Piero Di Piero. Eletto in Consiglio comunale con l’Udc Di Piero era decaduto in virtù di alcuni incarichi ottenuti nell’ambito della ricostruzione, proprio in base alla legge Barca.
Questo regime di incompatibilità, tuttavia, risulta molto più blando rispetto a quello (e a cui il testo si ispira) voluto dopo il terremoto dell’Irpinia, nel quale l’impossibilità di ricoprire questi incarichi era – ad esempio – estesa a tutta la famiglia del politico in questione. Così è successo che un noto progettista aquilano, amministratore pubblico, ha potuto «passare» tutti i progetti alla figlia neolaureta in architettura senza incappare in alcun tipo di problema. Altro aspetto da tener presente è il concetto assolutamente vago di «territorio». Forse nel caos le zone colpite del terremoto andavano considerate come un vero e proprio unicum. I rapporti tra le diverse amministrazioni sono talmente stretti da un punto di vista politico e personale che ritroviamo amministratori della zona Est del cratere che svolgono il ruolo di tecnici nella parte Ovest e viceversa. Semplice caso, scambio di cortesie? Anche qui il problema sta nel fatto che non è chiarissimo a chi spetti l’onere del controllo. Poi ci sono le «anomalie» non regolamentate, come per esempio quella dell’ingegner Emidio Nusca che svolge il ruolo di coordinatore dei sindaci delle aree omogenee del cratere, ma allo stesso tempo continua a esercitare la professione al di fuori del comune dove è stato eletto. A chi gli ha fatto notare questo problema ha risposto che il suo ruolo non sarebbe normato e che sarebbe puramente nominale, ma chi ha memoria ricorderà che proprio Nusca era tra i firmatari dei contratti dei vincitori del «Concorsone». Forse se non un’incompatibilità dettata dalla legge ci troviamo almeno di fronte a un problema di opportunità politica.
di Angela Baglione, Il Tempo