Ai parenti degli studenti fuori sede morti sotto le macerie del terremoto non è stata concessa la possibilità di potersi costituire parte civile.
«Siamo stati abbandonati. Nessun aiuto, nessun sostegno psicologico, nessuna agevolazione. Le famiglie degli studenti fuori sede deceduti hanno ricevuto soltanto una bara. Ma le macerie sono anche dentro casa nostra. Un posto vuoto a tavola c’è sempre». Alle 3.32 del 6 aprile del 2009, nel terremoto dell’Aquila, Angelo Lannutti ha perso una figlia. Ivana, ventitrè anni, era una studentessa fuori sede, che frequentava il terzo anno di ingegneria nel capoluogo abruzzese. La sua famiglia è di Atessa, in provincia di Chieti.
«Il 30 marzo c’era stata l’ennesima scossa, di quattro gradi della scala Richter, e non aveva provocato danni. Molta gente era uscita di casa. Alcuni rimasero fuori, anche per la notte. Il giorno dopo, si riunì la commissione Grandi Rischi. Ivana era a casa, per il compleanno di sua madre. Sarebbe tornata ancora, per le vacanze di Pasqua. Ma quel 6 aprile, doveva essere all’Aquila, per finire di preparare il suo terzultimo esame». Dopo la riunione, i membri della commissione tennero una conferenza stampa. «La situazione è favorevole. Meglio tante scosse di media entità: l’energia si scarica e non arriva quella forte. Ci saranno altre scosse di pari intensità. Potranno esserci solo cadute di poco conto». Imprudenza, imperizia e negligenza. Queste rassicurazioni sono costate una condanna a sei anni, in primo grado, ai componenti della commissione. Sono costate molto di più alle vittime del terremoto. Trecentonove in tutto, ma, se si considera soltanto la città dell’Aquila, i morti furono circa trecento. Quasi tutti abitavano nella stessa zona, intorno a via XX settembre. Cinquantacinque erano studenti fuori sede.
«Nel condominio di Ivana – continua Angelo – sono morte diciannove persone, di cui undici studenti. Viveva con tre ragazze. Soltanto una è sopravvissuta. Lei, come molti altri, si era abituata alle scosse. Era tranquilla. Anche l’università era rimasta aperta. E, come se non bastasse, dopo che avevamo sepolto i nostri figli, nessuno ci ha mai chiesto se avessimo bisogno di qualcosa. Non abbiamo ricevuto alcun sostegno, neanche psicologico. Le agevolazioni fiscali, che riguardano la popolazione del cratere, non ci hanno toccato, solo per il fatto che abitiamo fuori da quella specifica zona geografica. E il cratere dei lutti? Quello non è stato considerato. Allora, con altre famiglie di fuori sede, abbiamo deciso di fondare un’associazione, l’Avus (Associazione vittime universitari del sisma), per tutelare il ricordo dei nostri ragazzi. Con l’aiuto di Umberto Braccili, abbiamo scritto un libro, “Macerie dentro e fuori”, per raccogliere fondi e rendere omaggio alla loro memoria, anche nelle vicende giudiziarie».
Il libro è stato acquisito agli atti del processo a carico della commissione Grandi Rischi, e, fra i documenti alla base dello stesso processo, c’è un esposto curato dai legali di queste famiglie. Ma nessuno di loro si è potuto costituire parte civile.
«Ivana viveva in via generale Francesco Rossi 22. Lo stabile era stato ristrutturato e sopraelevato, ma è crollato lo stesso. Proprio come la casa dello studente: l’ala che non ha retto era l’unica ad essere stata modificata. Ovviamente, per il crollo del palazzo c’è stato un processo. Noi siamo parte offesa e siamo stati ammessi come parte civile. Ma nel processo Grandi Rischi non abbiamo potuto: avremmo dovuto dimostrare che i nostri ragazzi non uscirono, perché tranquillizzati direttamente dalle dichiarazioni della commissione. Ma non c’è stato il tempo di reperire le testimonianze in tempi utili, e siamo stati esclusi. Sono solo trentadue le famiglie di vittime che hanno potuto costituirsi parte civile».
Per tutelare, nel miglior modo possibile, il ricordo dei giovani studenti morti, dimenticati dalle istituzioni, l’associazione ha avanzato proposte e iniziative. E, per ricostruire l’Aquila a partire dall’università, l’Avus ha istituito anche una borsa di studio. «Grazie all’aiuto dell’ordine nazionale dei geologi, con i fondi derivati dalla vendita del libro, abbiamo istituito un premio per una tesi di laurea in geologia, che affronti temi di prevenzione sismica. La commissione giudicante sta esaminando i lavori, giunti da varie parti d’Italia, e il premio sarà consegnato il 4 aprile all’Aquila. Inoltre, stiamo organizzando una petizione, per far sì che la protezione civile diventi materia scolastica».
Ciò a cui tengono di più, però, è che si mostri rispetto verso i giovani morti nei crolli. «Vogliamo che ai nostri ragazzi venga concesso lo status di morti sul lavoro. Gli studenti fuori sede erano, e sono, il motore di una città come l’Aquila, cresciuta intorno alla sua università. La ricostruzione del tessuto sociale deve ripartire dalla capacità attrattiva di questa istituzione. La richiesta l’abbiamo fatta alle istituzioni locali. Ma, sia la Regione Abruzzo, sia il Comune dell’Aquila hanno taciuto. Al massimo, è stata proposta la concessione di questo status a tutte le vittime. Ma la proposta è rimasta tale. Quello che chiediamo è di non essere dimenticati. Vogliamo che delle risorse siano destinate anche alla ricostruzione delle nostre famiglie».
fonte: di Matteo Ricevuto, popoff.globalist