di Enrica Centi – “Condannato in primo grado a 8 anni di reclusione, sei in meno rispetto a quelli richiesti dal Pm, e ora agli arresti domiciliari, attenuando la pena originaria del carcere”.
È questa la sentenza a carico di Francesco Tuccia, l’ex militare campano di 22 anni condannato in primo grado a 8 anni di reclusione per la violenza sessuale ai danni di una studentessa universitaria laziale avvenuta fuori da una discoteca di Pizzoli (L’Aquila) la notte tra l’11 e il 12 febbraio 2012.
Sono trascorsi quasi due anni da quella terribile vicenda. Una violenza inaudita, una barbarie che non ammette giustificazione, quella di un uomo che stupra una donna, che l’abbandona nella neve seminuda e incosciente per lo shock, che le procura delle lesioni che Iagnemma, il ginecologo dell’ospedale dell’Aquila che quella notte la operò d’urgenza, dice di non aver mai visto in trent’anni di lavoro.
Eppure nelle aule dei tribunali si è parlato di “rapporto sessuale consenziente” e in tv da Barbara D’Urso l’avvocato difensore di Tuccia non si è risparmiato proprio nulla, facendo addirittura il nome e cognome della vittima, in barba al regolamento sulla privacy ma soprattutto violando la riservatezza sulle norme di sicurezza cui la ragazza era sottoposta.
Forse è proprio in nome del desiderio di sconfiggere una cultura così stereotipata e maschilista, di abbattere una violenza che prima di trasformarsi in atto, nella nostra società esiste in potenza, che il 6 dicembre prossimo in occasione della prima udienza del processo d’appello per lo stupro di Pizzoli, la cittadinanza tutta è invitata a rispondere all’appello lanciato da Fuori Genere e che riportiamo fedelmente.
“Quello che è accaduto a Rosa é orribile e vergognoso.
Non solo lo stupro che l’ha quasi ammazzata ma anche tutto ciò che è successo dopo: le accuse, la sua criminalizzazione e la morbosa attenzione mediatica concentrata quasi esclusivamente su di lei. Tutto questo sta per ripetersi.
Durante il processo d’appello gli avvocati cercheranno di ottenere un forte ridimensionamento della sentenza di primo grado e, per farlo, punteranno tutto sulla consensualità di Rosa al rapporto.
Invitiamo la cittadinanza a dare un segnale forte per dire che L’Aquila ripudia la violenza contro le donne e la combatte tutti i giorni e in tutte le sue forme. Vorremmo poter dire di vivere in una città consapevole che non esiste consensualità alla violenza; che le donne sono libere di vestirsi e di avere qualunque comportamento preferiscano, perché non è il comportamento o l’abbigliamento o l’alcol a stuprare.
Ci vediamo davanti alla Corte di Appello (vicino la stazione di Pile) il 6 dicembre dalle 9 per portare a Rosa la nostra solidarietà.
Per seguire la giornata e condividere i vostri pensieri gli hashtag (Twitter e Facebook) sono #ciriguardatutte e #liberedallaviolenza
SUBIRE UNO STUPRO NON È REATO!”