In questi giorni, soprattutto a L’Aquila, si parla tanto di sprechi e risorse mancate. Se non si comincia a ragionare seriamente sull’uso dei fondi (pochi) a disposizione, c’è il serio rischio di non poter più non rientrare nelle proprie case, soprattutto se si tratta di case del centro storico. Un nostro lettore ci ha inviato una nota sulla quale vale la pena aprire una riflessione comune quando ci si trova ad affrontare la compilazione della scheda parametrica che dovrebbe sveltire l’approvazione dei progetti per la ricostruzione delle case.
In qualità di proprietario di una unità immobiliare sita in un aggregato del centro storico dell’Aquila, vorrei sottoporre un problema relativo alla documentazione da allegare alla scheda parametrica. In particolare mi riferisco al modulo D3 “Autocertificazione dell’avente titolo delle singole U.I. ai sensi della 445/2000”.
Tra le varie dichiarazioni da rendere in tale modulo, oltre al numero, foglio, particella, sub, destinazione d’uso, si chiede anche di specificare se l’unità immobiliare per cui si chiedono contributi per la riparazione è “1° casa alla data del 6.4.2009”.
E’ ormai pacifico, anche grazie alla giurisprudenza che si va consolidando sul punto, che le varie forme di assistenza e i contributi per il ripristino delle unità immobiliari – per le parti comuni e private ed in misura pari al 100% – sono correlate al concetto di “stabile dimora” nell’abitazione inagibile. Per abitazione di stabile dimora si intende l’abitazione nella quale continuativamente, abitualmente, in modo non saltuario o stagionale si viveva all’epoca del sisma.
Tale concetto è ovviamente distinto da quello di “1° casa”, ex DM 2 agosto 1969, che consente agevolazioni fiscali in caso di acquisto di una prima casa per coloro che non ne possiedono altre sul territorio comunale, né hanno usufruito delle medesime agevolazioni fiscali per acquisto di altra abitazione sul territorio nazionale.
Nel documento D3 citato, si pone in maniera generica la domanda “1° casa alla data del 6.4.2009”, piuttosto che “abitazione di stabile dimora”. In tal modo molti cittadini possono essere indotti in errore, si da indicare come prima casa (perché l’unica posseduta) l’unità immobiliare nella quale non vivevano stabilmente, e per la quale, quindi non hanno diritto a percepire contributi in misura maggiore.
Tale erronea dichiarazione, quindi, può comportare la liquidazione indebita di contributi maggiori di quelli dovuti, in caso non si possa procedere alla verifica delle dichiarazioni prima dell’erogazione da parte dell’Ente. Ed è evidente che non si potrà procedere ad effettuare tali verifiche, a meno che non si intendano ricostituire (cosa altamente improbabile data l’enorme mole di lavoro che si sta sobbarcando il Comune dell’Aquila) le commissioni di verifica che si sono utilizzate per l’accertamento dei requisiti per le assegnazioni degli alloggi del Progetto Case/Map e Fondo Immobiliare. D’altro canto il mancato controllo, e quindi la non dovuta erogazione di contributi statali, oltre l’eventuale verificarsi di danni erariali e di ipotesi di dichiarazioni non veritiere, comporta il concreto rischio di esaurire gli esigui fondi destinati alla ricostruzione in favore di soggetti che non ne hanno diritto, a discapito degli innumerevoli cittadini con effettiva stabile dimora in abitazioni inagibili. Una ulteriore conseguenza di tali improprie erogazioni è che i cittadini con stabile dimora in abitazioni del centro storico, in particolare quelle che rientrano nelle ultime fasi del cronoprogramma, rimarranno a carico della assistenza pubblica (Case/Map/Fondo Immobiliare/cas/affitto concordato ex Opcm 3769/2009/ alberghi) per tempo immemorabile.
Il rischio è tanto maggiore visto che notoriamente nel centro storico dell’Aquila ci sono moltissime “seconde case”, cioè abitazioni che seppur acquistate con le agevolazioni di cui al DM 1969 (quindi prima casa ai fini fiscali), non sono abitate dai proprietari, ma affittate a terzi.