«Cosa è rimasto dell’Accademia dell’Immagine? Che cosa è che Gianni Chiodi vuole liquidare e che altri difendono?» Se lo chiede anche Appello per L’Aquila in una nota.
Dal 2009 l’Accademia è entrata in una profonda crisi finanziaria, aggravata dal terremoto.
Da quella data, salvo sporadiche uscite, questo ente è caduto in un oblio sempre più profondo, interventi sulla stampa delle varie parti politiche periodicamente ne denunciavano lo stato di crisi, i dipendenti hanno lanciato i loro appelli. Ma niente è stato concretamente messo in moto, non una strategia, non un’idea. Nel frattempo ha aperto a L’Aquila una sede della Scuola Nazionale di Cinema.
In questa torrida estate, invece, non passa giorno che l’Accademia non sia oggetto di un comunicato stampa o di un articolo giornalistico e ora anche di una petizione on line.
Ma la domanda da porsi è forse: di cosa si sta parlando? Cosa significa liquidare un ente culturale? Vendere tutti i suoi beni? Licenziare i suoi dipendenti, saldare i debiti con i creditori, azzerare tutto per ricominciare? Ma come? Ancora una volta la domanda che resta inevasa è questa, l’individuazione di una prospettiva e di una, seppur timida, idea e condivisione di programmazione rispetto a quanto si sta per fare. Sia che si voglia salvare, sia che si voglia liquidare l’Accademia.
Ancora più chiaramente: liquidare l’ente e poi che fine faranno i dipendenti, il patrimonio culturale, i 6 milioni di euro stanziati dal Cipe per ristrutturare la sede dell’Ente? Salvare l’Accademia: con quali soldi, con quale piano, con quali obiettivi culturali e i 6 milioni di euro stanziati dal Cipe per ristrutturare la sede da chi verranno gestiti se manca da anni un consiglio di amministrazione?Insomma prima di prendere qualsiasi decisione sarebbe il caso di studiare una strategia complessiva che, dati alla mano, magari metta insieme anche la Film Commission, la Scuola Nazionale di Cinema e l’Università. Si dovrebbe farlo, visto che di partecipazione si parla sempre, insieme a chi di quel mondo ci fa parte e che potrebbe dare un contributo decisivo in termini di idee e prospettive. Una volta che saranno chiari gli obiettivi allora si potrà decidere di liquidare o di salvare.
Invece da un lato c’è chi accusa di mala gestione come occasione per liquidare “finalmente” tutta la struttura, mentre dall’altro c’è chi propone il salvataggio senza un piano di rinascita chiaro e condiviso e senza interrogarsi sulle responsabilità, anche proprie, che hanno portato a questa situazione disastrosa facendo ammenda degli errori commessi.
Fare chiarezza assoluta sul perché di tanti debiti e di chi sono le responsabilità, rendicontare euro per euro l’utilizzo di fondi e donazioni ricevuti dal 2009 sono le prime operazione da cui poter ripartire.
In ultimo: in questi giorni molti hanno fatto riferimento al personale che sarebbe tutto raccomandato. Una generalizzazione veramente insopportabile soprattutto per quei dipendenti che ci hanno lavorato con passione e la cui dignità non può essere calpestata per fini politici. Ma, a ben vedere, è la dignità di chi fa queste affermazioni ad uscirne malconcia.