di Emidio Di Carlo – Dopo la decisione del Presidente della Regione Chiodi di porre in liquidazione l’Accademia dell’Immagine, sono apparse una valanga di proteste. Al solito si sottolinea il “furto”; questa volta immobiliare della sede con le sue attrezzature in Collemaggio.
Ecco riemergere la ragione campanilista ad emergere, come ai tempi del “Capoluogo”.
Nessuno si chiede però come si è giunti al provvedimento. Un po’ di storia, allora. C’era una volta il Cineuforum, poi le varianti e le trasformazioni ed eccoci all’Accademia, cresciuta grazie al coinvolgimento della politica locale che, ha fatto crescere la vacca magra in quella grassa (sul piano economico o culturale?), ma tanto apparentemente grassa da vederla scoppiare per i debiti accumulati (ndr chi vuole legga per i dettagli il blog pubblicato su”Linkiesta”).
Fatti alla mano, è troppo comodo lanciare accuse a Chiodi. Farebbero bene quanti solidarizzano dal pulpito della cultura locale a chiedere ai politici locali (a cominciare dai presunti difensori del patrimonio culturale aquilano) dove sono stati fino ad oggi, dove sono finiti i soldi arrivati pre/dopo sisma 2009. Ognuno paghi per la cattiva amministrazione, poiché “Non poteva non sapere”. Un detto proposto due volte a sentenza: al tempo di mani pulite e riemerso nella nota sentenza che sta “inquietando” il Governo della ‘larghe intese’. Pensando all’“Accademia in gloria” mi viene alla memoria un vecchio adagio: “Chi troppo in alto va cade sovente precipitevolissimevolmente”; ritenendo che il sottoscritto, anche nell’incarico di direttore amministrativo, in decenni di attività non ha avuto retribuzioni e mai presentato il bilancio in passivo; senza patrocini e contributi dai vari enti istituzionali più o meno locali. Di certo: sono gli interessi della politica di Palazzo o gli insediamenti d’ufficio dai Partiti Politici che generano la vera morte delle istituzioni culturali.