A meno di un chilometro da Cansatessa e a due da San Vittorino, ai lati di una profonda forra, si trovano i resti di mura ciclopiche realizzate in pietra calcarea locale senza apposizione di leganti. Blocchi di qualche tonnellata sono giustapposti in due ordini di diversa fattura a differenti quote.
I due ordini di murature, di epoche diverse, sono organizzati seguendo le curve di livello.
In alto c’è la muratura più tarda, realizzata in pietra sicuramente estratta a monte a poca distanza per facilitarne il trasporto. È lavorata su tutte le facce, che si incastrano perfettamente tra di loro. Questo muro si conserva ancora per la ragguardevole lunghezza di circa quaranta metri e si notano ancora tracce di esso dal lato opposto del fosso. Ciò significa che, in qualche modo, la struttura scavalcava il torrente ed era molto più lunga e molto più alta di quella oggi visibile.
Circa venti metri più in basso v’è la muratura in blocchi di calcare grossolanamente sbozzata e quasi parallela al muro superiore. Gli enormi blocchi sono poggiati uno sull’altro sempre senza nessuna malta, ma si nota l’accortezza di mettere i blocchi di dimensioni maggiori nella parte alta in modo da favorire una “precompressione” e rendere più stabile l’intera struttura.
Il tempo e la natura hanno modificato i luoghi, semidistrutto le originarie strutture ed oggi molte grandi pietre si ritrovano in basso sul letto del torrente; altre sono state trasportate poco lontano e fanno da fondamenta della torre piccionaia secentesca del Casale del Barone.
Le prime notizie scientifiche della Murata del diavolo (detta, nella tradizione popolare, anche delle fate a significare che secondo la vulgata, nell’uno o nell’altro caso quelle strane realizzazioni dovevano essere opera del “soprannaturale”) sono dovute all’arch. Simelli che nel 1810, su incarico dell’Accademia di Francia, visita molti siti con mura pelasgiche dell’Abruzzo e si ferma anche alla Murata. Egli misura, disegna e descrive tre ordini di mura con continuazioni anche sul monte di Pettino, all’altro lato della forra. Successivamente anche Edward Dodwell nel 1830 studiò le mura e più tardi, all’inizio del Novecento, Asby ed il Persichetti ne fecero occasione dei loro interessi.
Queste grandi costruzioni non sono le sole presenti nella zona dell’Aquilano. Su un tratto di mura megalitiche di circa cinquanta metri è impostata la cinta muraria della città dell’Aquila nei pressi della porta della Stazione ferroviaria. Sul fosso di San Giuliano sono state recentemente scoperte tracce di muratura ciclopiche. Sul colle di San Vittorino alcuni saggi dell’Università di Colonia hanno rivelato tratti di quella che doveva essere una cinta.
Gli studiosi non sono d’accordo sulla funzione di queste grandi mura, ma tra le varie congetture (mura di terrazzo, mura di difesa) personalmente protendo per mura di regimentazione delle acque, magari da utilizzare per far andare un mulino. Anche sull’epoca di costruzione le ipotesi si sono accavallate nel tempo ma oggi, considerando anche il materiale rinvenuto nei pressi, si protende per datarle tra il VII ed il V-IV sec. a. C., cioè in epoca Sabina.
di Giovanni Cialone