di Emanuela Medoro – A proposito di sogni, riporto dalla stampa locale un brano che definiva le caratteristiche del documento di candidatura per il titolo di Capitale europea della Cultura 2019. “Tutte le città che vogliano competere concretamente al riconoscimento di Capitale europea della cultura, debbono presentare progetti che coinvolgano più attori possibili, riconosciuti a livello nazionale ed europeo…. Sì a progetti ambiziosi e visionari – diceva inoltre l’Europa- che presentino però una tempistica e un piano di finanziamenti realistico e concreto. E soprattutto, che siano supportati non solo da finanziamenti pubblici ma anche da quelli privati.”
La città ha mai avuto la certezza di finanziamenti per la sua ricostruzione? Francamente non mi pare, ogni tanto sento parlare di cantieri che si fermano o di ditte che falliscono, di gente che lavora per la ricostruzione e che a lungo aspetta la giusta retribuzione. Ma veramente si poteva credere che per il 2019 la città potesse essere bella e ricostruita, pronta ad accogliere un evento di ampia portata?
Non ce l’ho fatta a leggere il documento presentato dall’Aquila. A parte il fatto che presenta una bella traduzione in inglese, il documento è al di là delle mie forze, troppo lungo ed astratto, di difficile comprensione. Sfoglio a caso, e trovo una frase illuminante: “Sognare non è sempre una fuga dalla realtà. Tanto più non lo è in un caso come questo, che al sogno offre realistici punti di appoggio e che del sogno fa un coefficiente teso a rischiarare lo scontento di una fase problematica.”
I realistici punti d’appoggio non sono stati evidentemente sufficienti a convincere la commissione a includere la città nella rosa delle finaliste. Inoltre, pensare che proprio la realizzazione di questo sogno potesse rischiarare lo scontento di una fase problematica sembra quanto meno azzardato. Sfoglio facebook, e trovo valanghe di ironia, sarcasmo, malumore e scontento.
Su un’accusa in particolare mi voglio soffermare: L’Aquila non ha futuro. Ma che significa quest’affermazione? Uno dei modi per costruire il futuro è l’innovazione tecnologica e scientifica. L’aquilano in genere non ama il rischio, va sul sicuro, ama muoversi su binari certi. Però la città ha un’università con delle facoltà tecnico-scientifiche che operano a livelli alti, con prospettive globali. I nostri laureati lavorano e si fanno onore dappertutto. La città ha un serbatoio di cervelli aperti al futuro. Dobbiamo creare le condizioni per invogliarli a lavorare per la città, rinunciando a secolari tradizioni clientelari e provinciali che perpetuano abitudini vecchie e consolidate, salvano una identità cittadina chiusa e limitata, ma non riescono a costruire il futuro di una città aperta, solidale, verde, pulita ed accogliente.
Una breve nota a proposito del sarcasmo riversato sull’attuale classe politica. Ricordo che la classe politica emerge dalla popolazione della città, è eletta dai cittadini che esercitano la loro libertà di scelta e votano per il meno peggio, in genere, o per quello che promette meglio e di più. Nel bene o nel male, ci rappresentano. Se vogliamo che cambino loro, dobbiamo cambiare noi, i cambiamenti profondi avvengono dal basso verso l’alto e non viceversa. Per rischiarare lo scontento di questa fase difficile non ci resta dunque che crearci un altro sogno, per ora.