L’aperitivo della vigilia di Natale in centro. E’ vera tradizione?

di Isabella Benedetti | 27 Dicembre 2022 @ 06:28 | Punti di svista
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Il 24 dicembre, all’Aquila, non è solo il giorno della Vigilia di Natale, ma è quello dell’aperitivo.

“E’ tradizione” dice mio figlio quando chiedo spiegazioni. Una tradizione di cui non ho memoria e mi viene da dire. “Ai miei tempi non si usava”. Mamma mia, l’ho detto! Ho pronunciato la fatidica frase da persona attempata, la formula di mia madre e prima ancora di nonna, con ciò tracciando il divario, il solco generazionale che separa gli adulti dal mondo dei giovani.

Il 24 dicembre è il giorno in cui i figli dicono “Usciamo e non torniamo a pranzo”. “Con chi andate? Dove andate e a che ora tornate? Mi raccomando, siamo a cena con tutti i parenti…”, mi affretto a dire. “Siamo in giro con gli amici, ma tranquilla, torniamo per cena”, rispondono già sulla porta, troncando qualunque replica. Ma quanto dura questo aperitivo? Un’intera giornata. Alcune piazze del centro sono letteralmente invase da un esercito di ragazzi di ogni età. Si beve di tutto dalle prime ore della mattina. I più “grandi” seduti ai tavolini dei bar e locali disseminati ovunque, gli altri per strada, dove qualcuno distribuisce alcool e scandisce il tempo delle bevute a ritmo di musica tecno. Sembra lo scenario descritto da Niccolò Ammaniti in “Anna”, la realtà post pandemica da “epidemia rossa”, che ha lasciato sulla terra solo bambini. Qui, invece, sono giovani, giovanissimi e bambini, ma anche qui la realtà da post ristrettezze da covid,  ha enfatizzato la voglia di fare baldoria. Se sei un genitore o comunque un po’ più in là con l’età e ti capita di attraversare questa moltitudine da “maratona di happy hour”, ti senti davvero di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. A me é successo, per raggiungere la casa di amici in Santa Maria Paganica. Alle 18,00 l’ultimo rigurgito di una festa di piazza con le strade bagnate di ogni liquido e sudiciume che parla di eccesso. Un ragazzo ulula qualcosa in direzione di altri visibilmente alticci, un altro a torso nudo balla come fosse il giorno di Ferragosto. Mi stringo rabbrividendo nel cappotto e mi infilo nel portone del bel palazzo, dove sono attesa. Di lì a poco si è accesa una rissa, l’ho scampata. I miei amici, che vivono in quel palazzo, situato nell’epicentro della “movida”, il 24 dicembre si rintanano in casa. Impossibile uscire con l’auto dal garage su piazza Chiarino. Il giorno prima, prudentemente, spostano l’auto lungo viale Giovanni XIII, per ogni evenienza. Dalle finestre a tripla camera di vetro, che hanno dovuto installare per sopravvivere al rumore del giovedì e del sabato sera, fotografo una scena apocalittica. Ovunque bottiglie e lattine, le auto parcheggiate usate come tavole, sfatte come dopo un vivace banchetto. Penso con tristezza agli operatori dell’Asm che l’indomani dovranno ripulire tutto questo. Un surplus di lavoro, proprio il giorno di Natale. Chiedo ai miei figli il senso di questo aperitivo. “Per noi che viviamo fuori città per lavoro e studio, l’aperitivo del 24 è un modo per incontrare tutti gli amici, anche quelli di cui si sono persi i contatti, quelli di cui non hai il numero in rubrica. E’ una festa, un momento per riabbracciare tutti e scambiarsi gli auguri. Gli eccessi non vanno bene neanche a noi e nella massa c’è sempre qualcuno che esagera. La sporcizia, poi, è l’immancabile, triste conseguenza di ogni evento. Dopo il concerto dei Maneskin a Roma, il Circo Massimo era un vero porcile. Purtroppo, non abbiamo la cultura della pulizia e il senso civico dei Giapponesi: Su questo dobbiamo lavorare…”, argomenta mia figlia, cercando di essere convincente. “E’ un’usanza diffusa in molte città d’Italia”, puntualizza mio figlio. “Va bene, d’accordo”, mi convinco a metà, “però non chiamatela tradizione”.


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