di Emanuela Medoro – Lo studio preliminare per il Progetto di Candidatura per L’Aquila Capitale Europea della Cultura 2019, firmato da Errico Centofanti, reso noto durante l’ incontro tenuto a Palazzetto dei Nobili la sera del 7 dicembre 2012, presenta un complesso questionario che inizia con le seguenti domande:
Perché la città desidera partecipare alla competizione per il titolo di Capitale Europea della Cultura?
Quale sarebbe la principale motivazione di tale designazione?
Quali sono gli obiettivi della città per l’anno in questione?
Illustrare la filosofia del programma che verrebbe svolto se la città venisse nominata Capitale Europea della cultura.
Il programma si può riassumere con uno slogan?
Come si integra la manifestazione nello sviluppo culturale di lungo termine della città e, se del caso, della regione?
Difficilissimo dare una risposta a queste domande. Nel mio piccolo penso che presupposto di risposte plausibili sia un progetto, realizzabile in tempi brevi, di città vivibile per il maggior numero dei suoi cittadini, con una buona qualità della vita. Ciò significa che nell’immediato futuro il centro debba tornare alla vita, nelle case e nei palazzi, che per tutti ci siano trasporti efficienti, servizi, infrastrutture, verde pubblico e privato pulito e curato. Tutto questo ad indispensabile base e sostegno delle attività culturali quali la musica, le arti figurative, la scrittura, la gastronomia, lo sport e la montagna. Per queste la città può vantare delle istituzioni quali l’università, il conservatorio musicale (con il suo prezioso auditorium ancora inagibile), l’accademia delle belle arti, le orchestre, che operano a livelli eccellenti.
Alle domande proposte, la commissione incaricata di elaborare il progetto di candidatura dovrà dare delle risposte credibili. Tanto più saranno credibili se esse nasceranno non nel chiuso delle accademie e di studi professionali, ma con la partecipazione sentita e convinta della città, cioè dalla gente sparsa in zone prima del sisma destinate all’ agricoltura ed al pascolo.
Per ora il centro è un deserto freddo. Nei pomeriggi dei giorni feriali le luminarie di Natale, volenterosamente sistemate per il corso e dintorni in cerca di una parvenza di normalità, gettano luce su impalcature di acciaio e di legno, negozi chiusi e sbarrati, qualche cane senza padrone e pochissime persone. Per vedere un po’ di gente bisogna prendere la macchina e fare parecchi chilometri. Non solo il centro, anche la periferia e le zone verdi ancora rimaste andrebbero migliorate, rese meno sciatte e disordinate. Chi? Come? Quando? Nei pochi anni che ci separano dal ‘19? Nel 2019, dieci anni dopo il terremoto tireremo le somme di dieci anni di attività per la ripresa della vita in città. Ci vuole un forte e quasi impossibile atto di fiducia per credere che entro quella data la città, centro e periferia, almeno in parte, abbia riacquistato una accettabile normalità.
Mi domando come dalla difficile realtà di oggi possa sbocciare un progetto di candidatura. Credibile dalla maggior parte degli aquilani, se non proprio da tutti vista la nostra naturale tendenza alla critica negativa, e poi dalla commissione che dovrà fare la sua scelta. Difficile, per la competizione con città ricchissime di storia, cultura e risorse umane e materiali.