La Virgo Lactans in Abruzzo, tra arte e leggende. La Madonna del Latte di Gentile da Rocca
di Laura Di Stefano | 25 Luglio 2021 @ 06:21 | CULTURA
L’AQUILA – Nel concludere il ciclo delle tre tavole raffiguranti la Virgo Lactans esposte nel Museo Nazionale d’Abruzzo, non ci rimane che descrivere la tavola dipinta dal Maestro Gentile da Rocca. L’unica tra le tre, che presenta la data di esecuzione e la firma dell’autore. Anch’essa è legata ad una leggenda che ne ha ampliato la devozione, testimoniata dall’edicola monumentale costruita nel XV secolo a seguito dell’invasione delle truppe francesi di Carlo VII quando l’immagine fu vista stillare “sangue e sudore”, come riferito da Bernardino Cirillo negli Annali del 1570 .
La Madonna del Latte di Gentile da Rocca.
Un tabernacolo ligneo con due ante, datato 1283, dipinto a tempera, proveniente dalla Chiesa di Santa Maria ad Cryptas a Fossa, una frazione de L’Aquila. La chiesa di provenienza è di origine cistercense e venne edificata nella seconda metà del XII secolo, secondo lo stile gotico-cistercense ad opera di maestranze benedettine, e deve il suo nome alla presenza di una cripta. L’interno è completamente affrescato, e costituisce uno degli esempi più ricchi e maggiormente conservati di pittura murale Duecentesca abruzzese. Il trittico era collocato in fondo alla navata laterale sinistra, all’interno di un’edicola marmorea, attualmente è stata posizionata una riproduzione. Il tabernacolo è costituito da una tavola principale, nella quale è raffigurata la Vergine con il Bambino, e da due ante laterali, notevolmente compromesse, sulle quali sono raffigurate storie cristologiche. Il fondo è delimitato perimetralmente da una fascia blu e rossa, sulla quale sono rappresentate dei girali fogliacei, mentre nella zona centrale sono raffigurati dei motivi circolari su uno sfondo attualmente verde scuro. La Vergine è assisa su un trono senza spalliera né cuscini. Il trono ha i lati decorati con elementi geometrici e floreali chiari su sfondo rosso ed ha un suppedaneo rialzato di color verde scuro sulla quale corre perimetralmente un’iscrizione a lettere gotiche rosse su campo dorato. L’iscrizione riporta la data di esecuzione e la firma dell’autore: A(NNO) D(OMINI) MCC OCTOGESIMO III GENTIL(IS) D(E) ROCCA ME PI(NXIT). La Vergine è rappresentata con una tunica blu, con cintura, polsi e collo rosso con decorazioni d’oro, sopra la quale è posizionato un lungo mantello rosso che le copre anche le gambe. Sul capo e sulle spalle le cade un velo blu decorato, che, come abbiamo già notato nelle altre due tavole, è una rielaborazione del classico maphorion bizantino. La bicromia rosso/oro è presente in tutte le decorazioni dell’opera. Il volto della Vergine è allungato e posizionato frontalmente. Gli occhi grandi allungati presentano caratteri di profondità dati dall’uso dei colori rosacei sulla palpebra superiore e più scuri sulla palpebra inferiore. Il naso snello è delimitato da due zone d’ombra, le stesse che troviamo nel contorno del volto, mentre la bocca è realizzata con due linee ondulate nei toni del rosso. Come nella Madonna di Montereale anche in questa tavola troviamo le gote evidenziate di un rosso acceso. La Vergine porge il seno al bambino con la mano destra, mentre poggia la sinistra sulla sua spalla. Il Bambino è raffigurato nell’atto di benedire alla latina con la mano destra, mentre nella sinistra regge un libro sul quale è posta l’iscrizione, sempre a lettere gotiche rosse, «Ego Sum Lux Mundi Qui Sequitur» . Con lo sguardo si rivolge alla Madre, i tratti fisionomici sono molto simili a quelli della Vergine, le linee sono allungate e il colore predominante è il rosso. La veste di base è color verde scuro, mentre il mantello è blu con decorazioni a puntini bianchi, che riprende il già citato çintamani. È stata inoltre oggetto di molti ritocchi e ridipinture nei secoli, alcune molto approssimative, tanto da modificare anche i connotati fisionomici delle figure. Il restauro della tavola è stato effettuato dall’Istituto Centrale Superiore per il Restauro di Roma, fra il 1976 e il 1981, È stato importante effettuare il restauro poiché, come si è evidenziato, nonostante gli studiosi avessero intuito la preziosità dell’opera, delle ridipinture ne avevano compromesso quasi completamente la visibilità originaria. Lo storico dell’arte Enzo Carli fu il primo ad individuare la preziosità dell’opera e propose un’identità di mano con i coevi affreschi della Chiesa, ciò ha permesso di continuare gli studi sulla figura del Magister Gentilis Pictor, nome presente in alcuni documenti dell’epoca sia all’Aquila che nella vicina Sulmona. Non tutti gli studiosi sono d’accordo sul fatto che la decorazione della Chiesa fosse completamente ad opera di Gentile, ma sicuramente una gran parte di essa lo fu, ad esempio i tratti marcati e incisivi della tavola ne hanno permesso l’avvicinamento con l’affresco raffigurante lo stesso soggetto sull’arco trionfale della chiesa. La dottoressa Lucherini ha però studiato le ampie distese di colore puro con spesse linee di contorno, la forte semplificazione, i tratti fisionomici senza rilievo sono stati accostati a quelli laziali della tavola di S. Silvestro al Quirinale e altri richiami della tradizione romana. Un altro collegamento è stato individuato dalla studiosa Marta Vittorini, la quale ci conferma che Gentile da Rocca fosse stato uno dei maestri impegnati nella decorazione pittorica della chiesa. Il ciclo di affreschi è ricollegabile a delle tendenze stilistiche di elaborazione crociata, analoghe a quelli della tavola. La pittura templare è giustificata dalla committenza, il feudatario francese Morel de Saours, rappresentato con lo scudo crocesignato.