La super esperta nella task force nazionale: Covid hospital inutili senza personale

di Marco Signori | 14 Maggio 2020 @ 07:30 | ATTUALITA'
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L’AQUILA – “Sono prudente, vivrò la ripresa come una necessità inevitabile per poter evitare che si vada al crash economico ma credo che gli abruzzesi farebbero meglio a fare un po’ mente locale su come e dove si devono muovere. Abbiamo la fortuna di avere una regione che ha ampi spazi, abbiamo una popolazione non così densa come la Lombardia, cerchiamo di evitare scene come quella sui Navigli che secondo me è una condanna a ripiombare nel lockdown”.

Così Flavia Petrini, di Anestesiologia presso l’Università degli studi Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara e direttrice dell’Unità operativa complessa di anestesia, rianimazione e terapia intensiva dell’ospedale Santissima Annunziata di Chieti, tra le 11 donne nominate dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel Comitato tecnico scientifico che, insieme alla task force guidata da Vittorio Colao, sta gestendo l’emergenza Coronavirus.

Presidente della Società italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (Siaarti), a L’Aquila Blog parla anche della scelta di molte Regioni, tra cui l’Abruzzo, di realizzare dei Covid hospital: “Il Ministero ha capito che avevamo un sistema sanitario poco attrezzato dal punto di vista area critica, però non è sufficiente l’impegno economico strutturale perché poi quei posti letto bisognerà sostenerli con delle competenze e le competenze non si formano dalla sera alla mattina”.

“Mi piacerebbe che la nostra Regione investisse un po’ di più, ad esempio, in borse di scuole di specializzazione in discipline che servono, la nostra è una disciplina che serve e lo ha dimostrato”, fa osservare, “mi spaventa che si pensi di approfittare del momento per arraffare finanziamenti e si spolpi lo Stato e la Regione senza pensare che ci devono essere finanziamenti anche sulla formazione e sulla cultura”.

Reduce dalla prima riunione del Comitato, ieri pomeriggio, la Petrini a racconta che “ci è stato gentilmente chiesto di presentarci, siamo 6 new entry di genere femminile ed è stato dichiarato che siamo state inserite perché si sono accorti che non c’era sufficiente rappresentanza di genere però le colleghe e io abbiamo fatto proposte in generale relativamente alle nostre competenze, non posso negare che anche se questo è stato un atto di riparazione in realtà c’è chi ha un’esperienza di ricerca, chi un’esperienza prevalentemente nel recupero e sanificazione degli ambienti”.

“Ho ascoltato e ho spiegato che vorrei sia analizzare la possibilità di riorganizzare meglio il sistema alla luce dell’esperienza vissuta”, aggiunge, “sia analizzare quali sono le ricadute che l’epidemia ha provocato sulle nostre professioni per poter affrontare meglio il futuro, perché è chiaro a tutti i componenti del comitato, a cominciare da quelli di ambito epidemiologico e infettivologico, che dovremo convivere con questa bestia che ci ha svelato alcune fragilità del sistema”.

“Conosco le fragilità del sistema sanitario e la sua necessità urgente di adeguarsi a una popolazione che, al di là dei malati di covid, ha bisogni perché è una popolazione anziana, fragile, non ci possiamo nascondere che siamo uno dei paesi più anziani del mondo. Darò il mio contributo nei giudizi dei documenti che ci vengono sottoposti, ma possiamo anche noi fare delle proposte”, chiarisce la Petrini.

Che alla domanda se sia opportuno o meno concentrare le attenzioni sulla medicina territoriale, senza mezzi termini dice che “la medicina territoriale è più sviluppata in alcune regioni e meno in altre, però di fronte a epidemie di questo tipo, ma soprattutto di fronte a bisogni così critici come quelli della popolazione italiana, forse gli ospedali devono essere più integrati, abbiamo bisogno di medici di medicina generale e specialisti sul territorio che integrino la risposta in ospedale”.

“Non possiamo certo pensare che tutte le risposte debbano essere garantite dall’ospedale, perché non è sostenibile”, chiarisce.

“Se la politica ha abdicato alla medicina? Abbiamo avuto un problema medico, non saprei a chi altro chiedere le risposte”, fa osservare, “credo nel valore della scienza e della ricerca, questo paese non ha mai investito negli ultimi trent’anni in ricerca e sviluppo delle tecnologie che sono indispensabili per garantire una sopravvivenza così elevata, non è che la popolazione italiana è diventata così anziana in virtù del valore della politica”.

“Serve l’economia ma serve anche la salute, e la salute la tiene in piedi la scienza. Ora di scienza parlano tutti, noi italiani siamo portati a esprimerci su tutto”, aggiunge.

Sulle imminenti riaperture valuta: “Conterei molto sui giovani ma bisogna che si facciano portatori di un movimento di consapevolezza. Sarebbe stato bello se i giovani che popolavano la movida dei nostri lungomare si facessero un po’ vigili e regolatori del traffico abusato. Francamente dal primo maggio in poi ho notato una certa tendenza al lassismo”.

“Se temo che al termine dei quattordici giorni dalla riapertura, indicato come termine critico perché uguale a quello di incubazione del virus, possa esserci un nuovo aumento di contagi? Sì”, dice, “perché il virus non è sconfitto, ce lo abbiamo intorno a noi”.


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