di Lorenzo Salvia – La tensostruttura in costruzione davanti a Giurisprudenza, quasi un simbolo dei problemi del mondo accademico italiano. Ci sarebbero tante immagini per raccontare i problemi delle università italiane, per leggere il disagio di quelle della nostra città. I ricercatori saliti sui tetti delle facoltà per protestare contro la riforma Gelmini, i precari trasformati in lavavetri per chiedere il rinnovo del contratto, gli studenti che si presentano ai test d’ingresso vestiti da fantasma per denunciare i tagli alle borse di studio.
Tutte proteste creative, consapevolmente sul filo dell’esagerazione proprio per attirare le telecamere e sollevare il caso. Eppure per raccontare i guai delle nostre università, e quindi del nostro futuro, l’immagine più efficace non ha bisogno di nessuna caricatura, di nessun travestimento, di nessun lenzuolo da fantasma. Basta andare nei prossimi giorni sul pratone della Sapienza, alle spalle del rettorato. Su quell’erba bruciata saranno tirati su due tendoni da 500 persone e lì si terranno le lezioni di Giurisprudenza.
Sì, proprio come all’Aquila nei giorni del dopo terremoto. In Abruzzo le lezioni e gli esami sotto i tendoni bianchi della protezione civile erano un modo per far finta che la vita fosse normale e soprattutto il simbolo della resistenza, nonostante tutto. A Roma, grazie al cielo, la terra non ha tremato. Ma è la vita di tutti i giorni ad essere un terremoto.
La Sapienza è l’università più grande d’Europa, quella di giurisprudenza la sua facoltà più prestigiosa. Qui ci sono solo professori ordinari e pochissimi associati perché in queste aule (pardon, tende) arrivano solo i grandi nomi e si ha il privilegio di poter scegliere il meglio. Ma i suoi studenti sono sfollati causa ritardo nei lavori. Le nuove aule della città universitaria non sono ancora pronte, la sede provvisoria di San Lorenzo è stata dichiarata inagibile perché le opere fatte in fretta e furia per adattare i vecchi uffici postali avevano solo nascosto le vecchie magagne. E allora non restano che le tende, proprio come all’Aquila. Anche qui si tratta di resistere, del resto. Il nemico non è il terremoto, ma un sistema in decomposizione, dove tra crisi e spending review dallo Stato arrivano sempre meno soldi, ma se provi a chiedere aiuto al privato c’è il rischio di far scoppiare la rivoluzione.
All’immagine dei terremotati della Sapienza bisogna però accostarne un’altra. Sono i messaggi postati su internet dagli studenti che hanno fatto venire a galla la notizia. Su Twitter l’hashtag, cioè la parola chiave, è «non occupiamo il pratone». Cioè, il problema non è fare lezione in una tenda, anche se in evidente assenza di terremoto, ma non avere più a disposizione quello spazio dove di solito si chiacchiera, si prende il sole, si mangia e si conoscono nuovi amici. È vero che il mitico pratone è uno dei pochissimi luoghi di socializzazione in un’università che somiglia ad un parcheggio a cielo aperto, come il resto della città. Ma è davvero questo il guaio peggiore?