La psicologia dietro le foto a un piatto
di Enrico M. Rosati | 10 Luglio 2022 @ 06:15 | ATTUALITA'
Fare foto in un ristorante è una pratica non sempre ben vista all’interno nel mondo della ristorazione, e con ragione. Come vi sentireste se qualcuno fotografasse ogni dettaglio del vostro lavoro, ogni giorno, pubblicandolo su piattaforme e sottoponendolo a giudizio di migliaia di persone?
Inoltre, il cibo è arte, e ogni chef è quindi un artista che, come tale, ha il diritto di ritrarre la propria opera secondo dei parametri che sceglie, quindi con la giusta luce e angolazione così da far spiccare i dettagli che più desidera, condizioni ottimali sicuramente non presenti nelle foto fatte – spesso con dispositivi che non sono il massimo – in un ambiente come quello del ristorante. Di conseguenza, una foto che ritrae ciò che mangiamo in un ristorante, anche se motivata dal desiderio di dare mediaticità positiva al locale può portare all’esatto opposto, ritraendo il frutto del lavoro di qualcuno in un modo non appropriato.
L’importanza dell aspetto di un determinato piatto è un dibattito importante presente nel mondo dell’enogastronomia almeno in tempi recenti. L’estetica non è sempre stata tra i parametri di giudizio di una pietanza, infatti l’attenzione data alla presentazione rispetto al sapore è cosa relativamente recente e questo soprattutto a causa dell’influenza che giocano i social media.
La psicologia dietro le foto al piatto
Ognuno di noi conosce almeno una persona che, proprio prima di iniziare a mangiare, indipendentemente se sia un ambiente casalingo o di alta ristorazione, chiede al resto del tavolo di non alterare la presentazione del cibo perché deve ritrarlo con una foto. Un comportamento a tratti snervante, ma che nasconde una necessità psicologica che va sottolineata. Infatti, una serie di esperimenti pubblicati su Psychological Science ha dimostrato che fare foto al cibo è ormai diventato per molti un rituale. In modo simile a come si usa pregare prima di consumare il proprio piatto c’è chi non riesce a gustarsi la pietanza se non ha prima scattato una foto. Per dimostrare l’ipotesi che comportamenti ritualistici incrementano la percezione di un individio di ciò che mangia sono stati svolti 4 esperimenti tra gruppi di persone solite scattare foto ai piatti prima di consumarli. Di questi gruppi, solo uno ha potuto fare foto al cibo prima di mangiarlo, ed i risultati degli esperimenti sono sorprendenti.
- Nel primo esperimento il gruppo che ha scattato foto ha dato una valutazione di gran lunga superiore del piatto rispetto a chi non ha fatto foto.
- Il secondo esperimento ha dimostrato che scattare una foto incrementa il tempo dell’attesa, e quindi, la voglia di gustarsi il piatto.
- Nel terzo esperimento è stato provato che il comportamento ritualistico ha effetti non solo su chi lo compie ma anche sulle persone vicine.
- L’ultimo esperimento ha dimostrato che chi scatta la foto ad un piatto afferma di gustarlo di più in quanto si sente coinvolto nel processo di preparazione.
Questo bias derivante da comportamenti ritualistici si applica anche a cibi che come frutta e verdura che sono normalmente meno desiderabili rispetto ad altre pietanze. Infatti, una foto fatta ad un piatto di carote – come presentato da un esperimento sul New York Magazine – può spingere a mangiarlo con più gusto.
Ristoranti e influencers
La recente storia che ha coinvolto lo chef Edgar Núñez e l’influencer Manuela Gutiérrez ha fatto il giro del mondo, infatti è pratica nota da parte di vari influencers richiedere collaborazioni a ristoranti. La natura di questo scambio è semplice: l’influencer va a mangiare gratis e al contempo fa delle storie promuovendo il ristorante in questione. Non è raro che offerte simili vengano accettate da chef con necessità di visibilità, ma Edgar Núñez rifiutando la richiesta e deridendo l’influencer attraverso i propri social ha dato un taglio netto alla pratica, andando a toccare un tasto dolente che nella cultura dei social spesso viene ignorato: la competenza. Lo chef si chiede infatti che pubblicità possa venirgli da chi come l’influencer non ha competenze per poter giudicare o promuovere la sua cucina.