La panarda, oggi, è un ricordo storico
di Isabella Benedetti | 25 Gennaio 2023 @ 06:00 | Punti di svista
Amarcord è un ricordo, lo scorrere dei pensieri, è il momento impresso in una fotografia dai colori stinti e dai margini consumati, è il revival dolce e malinconico dei tempi passati, è anche il sapore antico ed ancestrale dei “piatti” della tradizione.
La “panarda”, oggi, è questo; è un ricordo, è rievocazione storica, laddove in Abruzzo venga riproposta, tramandando un evento che testimonia quello che eravamo, quello che siamo oggi, da dove veniamo.
La panarda, letteralmente pane e lardo, è un banchetto sontuoso di proporzioni bibliche, un’esperienza culinaria senza uguali, con 50 portate che racchiudono tutta la peculiarità d’Abruzzo, territorio che abbraccia monti e mare e di questi è espressione anche a tavola. Racconta di una terra dedita all’agricoltura e alla pastorizia, povera ma ricca allo stesso tempo. Il panardiere, in genere un ricco proprietario terriero, era il promotore dell’evento per ringraziare quanti si erano occupati per lui nel duro lavoro dei campi. Un legame religioso voleva che questo banchetto si tenesse il 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio, perché fosse di buon auspicio per il raccolto futuro. Ben presto, la panarda venne proposta anche in occasione di feste commemorative e banchetti nuziali.
Le origini risalgono al 1300 e anche D’Annunzio ne parla per averne preso parte, più forse per onorare un invito che per reale interesse per il cibo. Il poeta era solito villeggiare nella costa dei trabocchi, fra le amate tamerici e i profumati agrumeti e terra di grande tradizione culinaria. La panarda non è solo un’esperienza “di gusto”, ma ha una valenza maggiore, esprime accoglienza, gratitudine, convivialità.
Quello che passa sulla tavola non è solo cibo, ma è qualcosa che cattura i sensi e lo spirito. “
Si, è un’esperienza di spirito!” scherza, ridendo, Fabrizio Pietropaoli, titolare all’Aquila del ristorante “Ernesto”, “…nel senso che, dopo aver mangiato svariate portate, ebbri di vino e cibo, è probabile che si abbiano delle visioni mistiche”. Con Fabrizio Pietropaoli facciamo un viaggio a ritroso nel tempo di 30 anni quando, nel precedente locale all’epoca in piazza Palazzo, ha organizzato una panarda, attenendosi fedelmente ai canoni della tradizione.
“L’evento ha richiesto molto impegno ed ho lavorato per giorni chiuso in cucina con mia sorella per approntare tutto”, dice Fabrizio, ricomponendo la memoria di una serata storica. “Il menù di una panarda, lunghissimo, segue un rigido protocollo e comprende sempre portate di carne e di pesce, legumi, verdure e tutte quelle varietà di vivande, che possono variare di zona in zona. Si segue una scaletta prestabilita che va dagli antipasti e, a seguire, ai brodi, ai bolliti, ai primi e via dicendo fino ai dolci.
La panarda ha regole ferree: non si arriva in ritardo e non si abbandona la tavola prima del tempo, pena l’esclusione da eventi futuri e di venir tacciati di tradimento. La cena, come di rito, è iniziata alle 19,00 ed è terminata alle 7,00 di mattina. Gli ospiti della serata erano 30 e, per mia volontà e di altri che mi hanno coadiuvato nell’organizzazione, non è stato invitato alcun personaggio politico. Non volevamo che il banchetto avesse tratti propagandistici, ma fosse un ritorno puro e genuino ai secolari usi e costumi. C’erano, invece, tutte le figure di spicco: il Maestro di panarda, che ha coordinato tutte le attività e il Guardiano di panarda, che passava tra i commensali a controllare che nessuno lasciasse cibo nel piatto. Un tempo, all’uopo, imbracciava un fucile e la formula ripetuta era “magna o te sparo”. Successivamente, il fucile è stato sostituito da un più tranquillo mattarello”.
Quando leggo il menù dei quella panarda, rimango basita. C’è dentro tutto il nostro patrimonio gastronomico: la coratella d’agnello, gli scarcetti acqua e farina, il brodo di cardi con le polpettine, il baccalà con i peperoni e quello in padella con la cipolla e il pomodoro, le salsicce con la panonta, il maiale al forno con latte e cannella e fra i formaggi, su tutti, “il marcetto”. 40 piatti per un totale di calorie da far rabbrividire qualunque dietologo e nutrizionista. Penso fra me e me, con amarezza, che io mi sarei fermata agli antipasti e sarei stata cacciata dal convivio, con disonore.
Fabrizio deve aver letto il mio stupore perché aggiunge con fare scherzoso “Avevamo previsto anche la presenza di un’ambulanza, per qualunque emergenza, come per gli eventi sportivi, ma fortunatamente non ce n’è stato bisogno. Tutti i commensali hanno felicemente onorato la tavola e alle 7,00, quando tutto è finito, uno degli ospiti, un giornalista dal fisico gracile, che non te lo saresti mai aspettato, nello stupore di tutti, si è trasferito dal ristorante al bar dove, fresco come si fosse appena alzato dal letto, ha ordinato cornetto e cappuccino”.