In un interrogatorio di 60 pagine, reso ai pm Nello Rossi e Rocco Fava il 29 settembre scorso, l’ex giudice Chiara Schettini, arrestata a giugno dal gip di Perugia per corruzione e peculato, offre uno spaccato devastante del sistema di corruzione del Tribunale fallimentare di Roma, trascinando nell’ inchiesta magistrati importanti e parla di nomine pilotate, consulenze compiacenti e vere e proprie truffe.
Un servizio andato in onda su La7 ne ripercorre i tratti salienti. Perizie affidate a consulenti dall’ampio potere discrezionale e dai compensi stratosferici, mazzette spartite anche con i giudici. Un crocevia affaristico in cui è coinvolto il vertice dell’ufficio. Il giudice Schettini non risparmia neppure i magistrati umbri competenti su inchieste che coinvolgono i colleghi romani accusandoli di insabbiare gli esposti. Spiega anche il meccanismo delle truffe e i trucchi per pilotare i fallimenti milionari: “Si entrava in camera di consiglio e si diceva questo si fa fallire e questo no”. I soldi delle consulenze venivano poi ripartiti tra giudici delegati, curatori, periti e avvocati facendo levitare oltre misura le parcelle. Chiara Schettini tenta di scrollarsi di dosso le accuse pesantissime che l’hanno portata in carcere, aggravate da intercettazioni che la inchiodano a minacce, a frasi sorprendenti come: “Io se voglio sono più mafiosa dei mafiosi”. Ogni fallimento è organizzato con modalità predatorie. Crediti inesistenti attribuiti a soggetti inesistenti, sul piatto 2 milioni e mezzo di euro, ma prima di arraffarli è stata arrestata.
Per la cronaca Chiara Schettini è ancora oggi il giudice al quale vengono assegnate molte delle cause fallimentari del Tribunale dell’Aquila. Sì perchè il Csm che l’aveva trasferita da Roma all’Aquila, sanzionandola per incompatibilità ambientale e togliendole sei mesi di anzianità, ancora non prende contezza della sua ‘indisponibilità’ a presiedere le cause. Allo stato attuale, nessun organo ha preso una decisione e le cause fallimentari vengono ancora assegnate al giudice incarcerato, con sconcerto degli avvocati e dei loro clienti.