I vescovi non sono obbligati a denunciare alle autorità i casi di pedofilia di cui vengano a conoscenza.
Una posizione destinata a far discutere parecchio quella espressa dalla Conferenza episcopale italiana il 22 maggio. Una visione integrale del segreto del confessionale in un momento in cui il clero è sotto l’occhio del ciclone dopo la condanna a don Seppia a Sestri Ponente, il caso di don Carlo a Catania, e quelli analoghi capitati in Australia e Irlanda.
«Nell’ordinamento italiano il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti».
La frase è contenuta all’interno delle linee guida Cei.
«GLI ATTI NON POSSONO ESSERE SEQUESTRATI». I vescovi «sono esonerati dall’obbligo di deporre o di esibire documenti in merito a quanto conosciuto o detenuto per ragione del proprio ministero. Eventuali informazioni o atti concernenti un procedimento giudiziario canonico possono essere richiesti dall’autorità giudiziaria dello Stato, ma non possono costituire oggetto di un ordine di esibizione o di sequestro».
Insomma, lo stato può richiedere documenti e testimonianze, ma un vescovo è legittimato a riufiutarsi di consegnarli.
«COLLABORARE CON LE AUTORITÀ». Principio solo parzialmente mitigato da un altro espresso nello stesso documento.
Nel caso in cui, per gli illeciti riguardanti presunti casi di pedofilia commessi da membri del clero «siano in atto indagini o sia aperto un procedimento penale secondo il diritto dello Stato, risulterà importante la cooperazione del vescovo con le autorità civili, nell’ambito delle rispettive competenze e nel rispetto della normativa concordataria e civile».
IN 11 ANNI 135 CASI. Eppure i casi accertati di pedofilia all’interno del clero italiano sono 135 negli ultimi 11 anni. Si tratta di quelli emersi tra il 2000-2011 nell’ambito di una ricognizione effettuata dalla Cei in vista della pubblicazione delle Linee guida.
«Di questi casi, 77 sono le denunce che risultano alla magistratura, 22 sono stati condannati in primo grado, 17 in secondo, 21 hanno patteggiato, 12 i casi archiviati, 5 assolti», ha spiegato monsignor Mariano Crociata, segretario della Cei.
tratto da www.lettera43.it