Il Recovery plan viene messo in salvo in Consiglio dei ministri, poi Teresa Bellanova ed Elena Bonetti aprono la crisi di Governo con le loro dimissioni: il fatto non c’è ancora, ma lo scenario della rottura, che inizia a circolare nella tarda mattinata di ieri, è questo. Sono gli stessi momenti in cui Giuseppe Conte annuncia al Tg3 l’approvazione del Piano di rilancio e resilienza nel Cdm di questa sera: “Dobbiamo correre, lavoriamo per costruire”, dice smantellando l’accusa renziana d’immobilismo. Rischia di non bastare: Matteo Renzi rilancia la richiesta di prendere il Mes e continua a lamentare l’assenza di risposte da parte del premier. Se le ministre davvero si dimetteranno, la sfida con Conte potrebbe spostarsi in Parlamento: il premier ha sempre detto che in caso di crisi andrà a verificare alle Camere se ha una maggioranza e non sembra aver cambiato idea. L’offerta sul tavolo per la ricomposizione è ancora quella di un patto di legislatura, come fortemente chiesto dal Pd, e un corposo rimpasto. Iv chiede però una “discontinuità” nel merito e nel metodo che dovrebbe passare dalle dimissioni del premier per dare vita a un Conte ter, una richiesta finora respinta al mittente dal capo del governo. A sera Goffredo Bettini, che continua a tenere aperto un canale tra Renzi e Conte, dice di più e mentre ritiene poco praticabile l’ipotesi di sostegno a Conte di una parte di “responsabili”, definisce “non un’eresia” ragionare di un coinvolgimento di una parte di Forza Italia. Possibile? Finora gli azzurri lo hanno escluso ma se si aprisse la crisi, molto dipenderebbe dalle mosse del Pd, osservano dal centrodestra. Non siamo ancora a quel punto; i Dem lavorano per quella verifica che loro stessi invocano da mesi.
L’unica certezza sembra essere per ora l’approvazione del Recovery plan in Cdm e l’invio del piano alle Camere. Il passaggio è frutto della moral suasion del Quirinale: la posta in gioco è troppo alta per metterla a rischio nell’ambito di una verifica di governo. Al testo ha lavorato duramente il ministro Roberto Gualtieri con i colleghi Enzo Amendola e Peppe Provenzano. “La bozza ancora non c’è, sono stufa”, sbotta nel pomeriggio Teresa Bellanova. Ma i renziani sminano il passaggio del Recovery: aspettano di leggere il testo e saranno in Cdm senza ostacolarne l’approvazione, spiega Ettore Rosato, il che vuol dire un sì esplicito o un’astensione. Del resto il Cdm potrebbe limitarsi a discutere e acquisire il testo senza una votazione formale. Nella road map tracciata da Giuseppe Conte in asse col Pd, a quel punto il Recovery andrebbe alle Camere per un’approvazione rapida (una settimana o forse due). E si aprirebbe il tavolo per il programma di legislatura. Questo schema potrebbe essere però rotto dalle dimissioni delle ministre renziane, perché, come dice Renzi, non tutte le risposte possono essere contenute nel Recovery, ma lì deve essere chiara la visione, dal Mes alle infrastrutture, alla giustizia. E finora, osservano da Iv, nessuna risposta è arrivata.
Teresa Bellanova ne fa una questione di correttezza istituzionale del premier. E spiega che sul programma di legislatura, così come sul Recovery, senza risposte lei è pronta a lasciare. Se ciò accadesse dopo il Consiglio dei ministri, secondo alcuni Conte potrebbe salire al Quirinale e poi aprire un tentativo estremo di dar vita a un Conte ter. Continuano a farsi diverse ipotesi, da un sottosegretario alla presidenza del Consiglio per il Pd a due ministeri di peso per Maria Elena Boschi ed Ettore Rosato. Renzi esclude un suo ingresso in squadra, ma anche di quello si parla, sempre che si riesca a stabilire un canale di comunicazione. Se, come sembra nelle ultime ore, resterà una voragine tra il premier e i renziani, lo scenario più probabile appare quello della sfida in Aula: lo spettro è ancora quello del voto anticipato, anche se Renzi invia ai suoi deputati una proiezione secondo cui al Pd non converrebbe, perché’ tutti i collegi andrebbero al centrodestra. La scommessa dei renziani, se i responsabili o un pezzo di Fi non arriveranno a sostenere Conte, è un governo a guida Pd o le larghe intese, con Cartabia o Draghi premier. Ma a quel punto tutto dipenderebbe non solo dai Dem ma anche dai Cinquestelle, per i quali Conte sembra ora essere unico punto di equilibrio.