di Emanuela Medoro – La mostra attualmente aperta al Palazzetto dei Nobili è un’altra manifestazione positiva del dopo sisma. La città vuole rinascere dalle sue macerie non solo ricostruendo mura, impresa difficilissima per motivi spesso oscuri e sempre molto chiacchierati, ma anche ritrovando la sua identità culturale precedente la catastrofe. Ed ecco una mostra delle opere di Amleto Cencioni, un artista notissimo in città, di cui tutti serbano ricordi. Lo ricordo anch’io come un uomo alto e magro vestito di scuro, dal volto segnato da vistosi baffi, che la mia memoria colloca a Piazza Palazzo.
Era popolare in vita, non solo come persona, la sua opera era molto apprezzata, gli aquilani compravano i suoi quadri e li mettevano ad abbellire le loro case. Case distrutte dal sisma, pareti e tramezzi ridotti in polvere e calcinacci, interni gelosamente custoditi impietosamente aperti allo sguardo degli estranei. Sotto le macerie di persone e cose giacevano anche tanti quadri di Amleto Cencioni. Riportati alla luce, miracolosamente intatti, oggi in esposizione sono oggetto di una attenzione particolare, perché testimoniano quel paesaggio naturale ed umano che il sisma ha devastato, per sempre.
Cosa vediamo nei quadri di questo artista? Vediamo spazi ben organizzati, secondo un uso della prospettiva che suggerisce un uso esperto di implicite regole geometriche, e che realizzano armoniose immagini paesaggistiche fatte di colori e luci. Ecco in primo piano viuzze, vicoletti, stradine ed agglomerati di casette di pietra, illuminati sullo sfondo, abitati da figurette appena accennate nel colore e nella forma; acqua e riflessi cangianti, catene di monti, albe, tramonti, chiarori, sfumature chiare della gamma dei blu e dei rosa, creano ambienti ed armoniose unità cromatiche, piacevolissime a guardarsi, i luoghi riconoscibili da tutti. Oggi queste opere danno un senso di struggente malinconia,e nello stesso tempo esaltano il senso dell’appartenenza ad un luogo ed una comunità.
Concludo queste brevi note sulla mostra dell’opera di Amleto Cencioni con un ricordo personale: il nome Cifani, riportato sul depliant della mostra come maestro di Amleto Cencioni, insieme a Teofilo Patini. Ebbene, conservo a casa dei quadri ad olio ed a gessetto dipinti da mia madre, Flora Fabrizi, che citava spesso il nome di Cifani come suo maestro, a scuola credo. Ebbene , la sua organizzazione dello spazio per rappresentare il paesaggio abruzzese naturale ed umano, il suo modo di disegnare le donne che popolano i vicoletti, è chiaramente simile al modo di Amleto Cencioni.