Il mistero della Birra Aquila, una storia incredibile e ancora tutta da scrivere

di Alessio Ludovici | 26 Aprile 2021 @ 06:20 | RACCONTANDO
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L’AQUILA – L’oggetto più comune può lasciare un’impronta per secoli e curioso può essere il modo in cui torna a galla una testimonianza. Chiamiamolo destino o fato, ma questa storia comincia con Cesare Ianni intento a pulire l’argine di un piccolo tratto del fiume Vetoio.

Per chi non lo sapesse Cesare è anche un appassionato collezionista di cose aquilane, vecchie insegne pubblicitarie, latte, oggetti di una volta. Un giorno qualunque, mentre pulisce l’argine del fiume, sotto i suoi piedi spunta una bottiglia. Non una bottiglia qualsiasi di quelle che affollano ahinoi ogni anfratto del territorio. C’è sovra impressa questa scritta: Birra Aquila, M. Riccomagno.

Tanti dubbi. Un collezionista di birra, non aquilano, ha un tappo con la stessa dicitura e racconta che forse è una birra del nord. Ma la curiosità spinge ad andare più a fondo e così si scopre che un birrificio “Michele Riccomagno” operava in Aquila nei primissimi anni del ‘900. Nessuno ne sa nulla però, nessuno ha mai sentito parlare di un birrificio all’Aquila nei primi del ‘900.

Le notizie sono già due, una è un birrificio in città di cui nessuno sembra sapere nulla, l’altra è la sua scoperta. L’unico esemplare rimasto di quella bottiglia di birra è sopravvissuta intatta per più di un secolo per poi finire sotto i piedi di chi? Di Cesare Ianni, collezionista di cose aquilane. Chiamiamolo fato, o destino.

C’è bisogno di qualche conferma. Comincia un viaggio, ancora da terminare, nelle fonti archivistiche cittadine. Non è facile trovare informazioni. All’anagrafe digitalizzata del Comune non risultano Riccomagno ci dice Gianna, servirebbe una data di nascita o di morte per cominciare una ricerca sui vecchi faldoni cartacei. Stesso discorso della gentilissima custode del Cimitero, Elisa. Senza una data è come cercare un ago in un pagliaio. Alla biblioteca Tommasi é Frediana a darci una mano ma non esce fuori niente. Anche in Archivio di Stato, nonostante il prezioso aiuto di Mariella, non se ne ricava granché. Molte fonti del resto non sono ovviamente inventariate, per cui si tratta di aprire i faldoni con i vecchi documenti e sperare anche in un pizzico di fortuna.

Ecco di nuovo il fato, o destino.

Dunque in Archivio bisogna prenotarsi ma succede che l’appuntamento inizialmente disponibile del 3 maggio, grazie ad una rinuncia, ci viene anticipato al 19 aprile. E chi c’è in Archivio di Stato il 19 aprile alle 10? L’architetto Maurizio Pasqua. Maurizio non sa ancora nulla del ritrovamento della bottiglia di Birra Aquila e di Riccomagno, è in archivio quel giorno per delle ricerche per una perizia. Cerca qualche prova dell’esistenza di un birrificio  operante nei primi del ‘900 nei locali dove oggi si trova il negozio di sementi e piante di Bruno Rossi, in zona Rivera dirimpetto la chiesetta della Madonna del Ponte. 

Chiamiamolo fato, o destino, ma è già difficile che un messaggio nella bottiglia arrivi al giusto destinatario, figuriamoci due per motivi completamente differenti e negli stessi giorni.

Maurizio ha una vecchia storia che si tramanda in quel luogo da decenni e secondo la quale in passato c’era un birrificio. C’è il luppolo poi, le cui piante hanno invaso i vecchi locali di fianco al negozio di Rossi. Noi abbiamo la bottiglia e un nome, Michele Riccomagno, ma non abbiamo un luogo preciso.

Ecco, ora forse c’è una storia da raccontare.

Non abbiamo ancora tutte le certezze del caso. Sappiamo, uno, che nei primi del 900 all’Aquila risulta un birrificio di Michele Riccomagno. Due, che c’è una Birra Aquila di Michele Riccomagno. Tre, che l’architetto Pasqua ha trovato prove di un birrificio in quei vecchi locali artigianali dove oggi c’è Rossi. Sappiamo, infine, che in quegli anni c’è un solo birrificio di Michele Riccomagno e che un birrificio ci sarà anche negli anni ’20 e probabilmente dopo.

Molto probabilmente parliamo quindi dello stesso birrificio. Si capirà andando avanti nelle ricerche.

Resta il mistero di Michele, ancora da risolvere, insieme ad un altro di cui racconteremo poi. Mistero perché Riccomagno è cognome mai sentito in città, sembra un fantasma eppure c’è, ancora negli ’30 con una rivendita di vini. Ma il bello è che non era l’unico. Ci sono evidenze di due Riccomagno in città in quel periodo, Michele appunto, e Guglielmo. Parenti? Guglielmo Riccomagno, a quanto pare, abitava in Via XX Settembre 5 e di mestiere era un inventore. Un inventore proprio, gli smanettoni della prima industrializzazione. Gugliemo deposita un brevetto ad Aquila, un motore 4 cilindri ad aria compressa. Poi ancora un brevetto per l’apertura dei paracadute. Poi scompare dalla città. Ma ecco, pochi anni dopo, un Gugliemo Riccomagno, inventore, a Pescara, brevetta dei fari rotanti per illuminare le città, brevetto che sarà depositato anche negli Stati Uniti.

La Birra Aquila è una piccola incredibile storia, una storia del ‘900, una storia aquilana. La sua scoperta non cambierà le vicende della città. Restituisce però uno spaccato importante del territorio. Ci racconta di una città indaffarata e curiosa. Ci parla della Rivera che è sempre stato uno dei cuori pulsanti della città, fin dalla sua fondazione.

A inizio 900 c’è già anche la ferrovia, a pochi passi, aria di ‘900 insomma. Dove oggi c’è Rossi c’era anche una fabbrica di ghiaccio, Maurizio ne ha trovato evidenze nei documenti catastali, e forse la scritta lungo il muro tra Rossi e la chiesa della Madonna del Ponte potrebbe essere collegata. C’era una fornace di mattoni ci informa sempre Maurizio. E c’era certamente un birrificio, anche di questo ci sono evidenze nei documenti catastali. E’ il vissuto autentico della città, artigianale e industriale che ha sempre caratterizzato la zona e che merita di essere tutelato, come già successo con i locali del Munda o come accadrà con la vecchia conceria del Parco delle Acque.

Ci ricorda infine, ancora una volta, che abbiamo dei fiumi ormai quasi dimenticati ma capaci, in modi originali, di essere ancora protagonisti della vita cittadina. Per concludere la storia abbiamo bisogno di qualche altra tessera di questo puzzle, e se qualcuno ne sa qualcosa lo invitiamo ovviamente a darci una mano. Poi chiamiamolo fato, o destino, ma c’è anche tanta passione per la propria terra in questa piccola storia.


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