Il Gran Sasso, la sicurezza stradale e l’inquinamento automobilistico
di Marianna Gianforte | 02 Agosto 2022 @ 06:09 | AMBIENTE
L’AQUILA – Come lo scoccare della mezzanotte per Cenerentola che perde la scarpetta e deve fuggire dal nobile ballo, così domenica scorsa alle 11,30 spaccate è scoccata l’ora del segno della croce e degli spergiuri per le centinaia di ciclisti e cicliste, tra cui anche tanti giovani e giovanissimi, ancora sparsi tra Campo Imperatore, i ‘Ruderi di Sant’Egidio’, la fossa di Paganica e l’intera strada provinciale nota come ‘la salita Pantani’, sino giù a fonte Cerreto, durante lo svolgimento della nona edizione della ‘Gran Sasso bike day – memorial Mauro Mannucci’. Una manifestazione che ha attirato sul Gran Sasso più di mille persone provenienti non soltanto dal territorio aquilano, ma anche dall’Abruzzo e dal resto d’Italia, alcuni persino dalla Germania, e che aveva un fine importante: ricordare Mauro Mannucci, l’alpino morto a 32 anni investito mentre si allenava in bici. E rendere la sua morte non vana, non inutile, sensibilizzando tutti gli utenti della strada al rispetto reciproco, secondo il principio che di fronte all’elemento debole della strada (un pedone, un ciclista, un corridore, un camminatore) bisogna far prevalere l’umanità e l’empatia su quel desiderio di prevaricazione che, spesso, porta a sbandierare il rispetto del codice della strada, dimenticando però che di fronte si ha un essere umano.
Alle 11,30 – si diceva – la frotta di persone che sino a quel momento aveva goduto, per tre brevissime ore, della libertà di pedalare senza l’incubo di essere investite, ha visto dileguarsi avanti a sè le auto delle forze dell’ordine e comparire invece, in senso opposto, non una o due o dieci, ma trecento, cinquecento, forse migliaia di automobili, enormi camper, motociclisti impazziti che superavano altri motociclisti, che facevano slalom tra le auto e tra i camper, inveivano contro i ciclisti usurpatori di carreggiata, incuranti di sfiorarli mentre cercavano da una parte di evitare lo schianto contro le moto, dall’altro di essere travolti dai camper che nel frattempo superavano ciclisti in senso contrario, invadendo la carreggiata opposta dalla quale scendevano gruppi di ciclisti. Tutto questo, su un fondo stradale costellato di buche, che sono veri e propri crateri quando si è sopra una bici da corsa. Non è uno scioglilingua; è proprio la realtà di ciò che è accaduto domenica sulla strada per Campo Imperatore dalle 11,30.
Il paradiso Gran Sasso, con la sua esplosione di colori, di profumi, con il suo silenzio, le greggi rincorse dai cani, i pastori che accompagnano le greggi, i laghetti che spuntano sulla piana, è diventata un inferno di roboandi moto, camper e automobili di varie cilindrate impegnati ad azzerare, in un pugno di minuti, oltre 30 chilometri di strada per poter recuperare il tempo ‘perso’ aspettando la riapertura incolonnati a fonte Cerreto. La provinciale è invece una strada da percorrere sempre con cautela, perché attraversa un territorio protetto (siamo nel mezzo del Parco nazionale del Gran Sasso e monti della Laga), che per di più dev’essere preservato dall’inquinamento provocato da un simile afflusso di vetture.
E invece inquinamento c’è stato: monossido di carbonio, prima di tutto; ma anche l’inquinamento acustico prodotto dal rumore rimbombante di centinaia di moto, che vi si sono riversate tutte insieme, disturbando non tanto le orecchie dei ciclisti o degli escursionisti, quanto l’ecosistema circostante, la fauna selvatica. Persino i cani a guardia delle greggi domenica sembravano impazziti e inebediti sul ciglio della strada.
E’ stato Mauro, il suo sguardo lungo da lassù, forse a evitare che la giornata nata in sua memoria si trasformasse in un’altra giornata nera. Nonostante questo, infatti, la bike day di domenica ha raggiunto il suo obiettivo: portare persone a stare insieme con gioia, parlando di come migliorare e migliorarsi nella difficile convivenza tra mezzi diversi sulle stesse strade (importante la partecipazione della famiglia di Michele Scarponi, l’atleta ucciso a sua volta da un’auto nel 2017 durante un allenamento in bici), un evento di ecologia ed ecologismo, di turismo bello, vero, pulito e silenzioso, lento, arricchito anche dalla splendida inziativa della società di gestione del serivizo idrico Gran Sasso Acqua, che ha permesso agli atelti e agli appassionati di bici di riempire le borracce direttamente dalla loro autobotte: ecco un’idea buona idea per contribuie a combattere l’inquinamento.
Due sono le considerazioni da fare e che sono rimbalzate domenica per tutto il resto della giornata tra organizzatori e fruitori della manifestazione; una riguarda l’opportunità della riapertura della provinciale a sole tre ore dall’inizio della manifestazione sportiva. Perché è stato concesso così poco tempo? Davvero si è pensato che decine e decine di persone, ognuna con un’andatura ciclistica diversa (c’erano molte persone di 70 anni e oltre, il più anziano 82) potessereo ridiscendere a velocità da Campo Imperatore sino a fonte Cerreto, in quel poco lasso di tempo? Cosa sarebbe cambiato, ai fini del piano della sicurezza che ha indotto a concedere soltanto tre ore, se invece ne fossero state concesse cinque, permettendo a tutti i ciclisti di lasciare il percorso della manifestazione in tranquillità e, allora sì, in sicurezza? Domenica è andato tutto bene, nessuno si è fatto male: e se invece fosse accaduto un incidente? C’è da dire, poi, che da 35 anni sulle Dolomiti vengono chiusi chilometri di strade per svariate ore permettendo lo svolgimento della Maratona delle Dolomiti (ma ci sono anche diversi esempi di bike day in giro per l’Italia) che porta un bell’indotto economico a tutto il territorio; mentre nel cuore dell’Appennino, su una provinciale che non attraversa alcun centro urbano, bensì conduce in un’area protetta, tutto ciò, una volta all’anno, non è possibile.
Seconda considerazione: che turismo è quello che permette a centinaia di automobili, moto e camper, di sfrecciare su una strada che taglia una piana unica al mondo, con una varietà incredibile dal punto di vista della flora (con le sue 2.364 specie censite, il Parco Gran Sasso e monti della Laga è una delle aree protette dalla maggiore biodiversità vegetale in Europa), e una campagna faticosissima di reintroduzione di cervi, camosci appenninici, lupi appenninici, caprioli, aquile reali, e anche la vipera Orsini? Forse è arrivato il momento che un simile traffico venga regolamentato. Dove erano dirette tutte quelle auto e moto domenica, se è vero come è vero, che Campo Imperatore non è in grado di sopportare un tale carico di traffico, più simile al flusso sull’autostrada del Brennero che non a quello su una provinciale in area protetta? Anche il Parco nazionale del Gran Sasso in merito potrebbe fornire qualche linea guida e qualche risposta.
E poi, terza questione che val la pena aggiungere: perché non viene concesso a una manifestazione sportiva di ciclismo, che tra l’altro unisce allo sport uno scopo civico come quello del memorial per Mauro, di godere della chiusura di una provinciale montana per cinque ore, e invece viene permesso (sul Gran Sasso come sulla statale per le Capannelle fino a Campotosto, e dalla parte opposta verso la Valle Subequana e Perscasseroli, ossia dentro al territorio del parco nazionale d’Abruzzo) che auto e moto usino quelle strade come percorsi di gara e di rally, assolutamente indisturbati? Sono domande che poniamo qui e che da qualche parte prima o poi dovranno trovare una risposta, una soluzione, che sen’zalto c’è, sempre nel rispetto del diritto di tutti a divertirsi.
Intanto, però, resta l’amarezza di una consapevolezza: che la montagna d’Abruzzo, che sia il Gran Sasso o che sia il Sirente o la Majella, stia pian piano finendo nella grande macchina tritatutto del turismo consumistico a tutti i costi.