Il dramma della solitudine per chi muore di Coronavirus, lo straziante racconto di chi è in trincea

di Redazione | 25 Marzo 2020 @ 08:15 | ATTUALITA'
Print Friendly and PDF

L’AQUILA – “L’emergenza ha colto impreparati tutti, anche io inizialmente credevo potesse essere una normale influenza e il 10 marzo eravamo ancora senza mascherine chirurgiche. Oggi è drammatico vedere come si muoia in solitudine, con la malattia e la morte chi fa il mio lavoro ci convive, ma finora non avevo ancora visto nulla del genere”.

È toccante il racconto di un’infermiera in prima linea contro l’emergenza Coronavirus all’ospedale “Cisanello” di Pisa. Sposata con un aquilano, ha costretto a interrompere l’andirivieni con l’Abruzzo da quando la crisi si è intensificata e sono state disposte le misure restrittive: nel capoluogo, insieme al marito, ci sono i due figli che non vede oramai da un mese.

In servizio in un reparto di degenza, da qualche giorno è stata trasferita in Rianimazione, dove i casi di pazienti ricoverati stanno aumentando e dove solo l’altroieri è deceduto anche un giovane di appena 30 anni. “Sembrava inizialmente stabile”, dice con la voce rotta dall’emozione, “invece nella notte ha avuto un’ improvvisa crisi respiratoria e la situazione è precipitata in poco tempo”.

Sono circa sessanta i contagiati da Covid-19 ricoverati tra i reparti di Malattie infettive e Rianimazione, a Pisa, “e qui ci si aspetta il picco tra il 28 marzo e il primo aprile, anche se è difficile fare previsioni sul lungo termine”.

“Sto vivendo questi giorni particolari, in modo diverso, per vari motivi”, racconta l’infermiera a L’Aquila Blog, “innanzitutto perché finché non lo vedi di persona neanche lo immagini, ti rendi ben presto conto che questo nemico invisibile non colpisce solo gli anziani, come si pensava inizialmente, ma gravi problemi respiratori li hanno anche i giovani che vengono contagiati”.

“E poi perché vivi da vicino la solitudine totale delle persone” dice, spiegando come “quando un paziente varca la soglia dell’ospedale non può essere visitato più da nessuno, amici, parenti o familiari che siano, indipendentemente da una situazione più o meno grave”.

“L’isolamento non è bello e ti fa star male, nel caso in cui un paziente muoia è ancora peggio – fa notare – . La morte c’è sempre stata, ma pure l’affetto e l’intimo momento di vicinanza al proprio caro in un momento di grande dolore e costernazione: ora come ora tutto ciò manca totalmente, ed è difficile davvero da spiegare a parole”.

“Capitano anche situazioni particolari che ti mettono ancor più a dura prova, per esempio quando è successo di ricevere famiglie con molti contagiati, in alcuni casi uno dei componenti è deceduto e non si è voluto dirlo agli altri congiunti ricoverati”.

“L’ospedale è all’avanguardia e gli strumenti sono adeguati”, continua, “ma quando ti dicono di restare di riposo a casa dopo un turno massacrante non immagini cosa può voler dire. Siamo sfiancati dal lavoro, abbiamo a che fare con tanti pazienti, siamo 25 infermieri per ogni turno contro i 6 di quelli che ci sono normalmente, ma cerchiamo di assicurare sempre e a tutti il massimo delle cure, la stessa qualità garantita in condizioni normali, con grande spirito di sacrificio e abnegazione”.

Dieci anni di professione ma questa è senza dubbio la prova più dura, “mai visto niente del genere!” dice.

“Sei destabilizzato, nel fisico e nell’animo, a livello di stress emotivo siamo abituati ma è molto dura, non a caso il nostro Ospedale ha aperto anche uno sportello di supporto psicologico a tutto il personale”.

“Comunque vedo che la situazione negli ultimi giorni sta pian piano migliorando, l’auspicio è che si torni tutti ad una pseudo-normalità nei prossimi mesi”, conclude la giovane infermiera in “trincea”. (m.sig.)


Print Friendly and PDF

TAGS