Un affaccio sulla bellezza. La nuova guida della basilica di San Bernardino
di Fra Piero Sirianni | 21 Marzo 2023 @ 06:00 | LIFESTYLE
Sfogliare la nuova guida della basilica di San Bernardino è già un affaccio sulla bellezza, sul divino, sull’arte, sul mistero.
Il piccolo testo definisce questo tempio come «una delle più alte espressioni dell’architettura religiosa in Abruzzo» (p. 12) e la sua facciata viene «considerata tra le massime espressioni dell’arte rinascimentale abruzzese» (p. 19). La chiesa si presenta a tre navate e contiene diciassette cappelle laterali, l’abside e il coro, il campanile e una maestosa cupola.
Tralasciamo tutti i particolari artistici e storici della basilica; il nostro desiderio è quello di cogliere – invece – il rimando alla preziosità degli edifici e delle suppellettili di culto, per la nostra vita cristiana; al tesoro che i nostri avi ci hanno consegnato e che dovrebbe essere da noi custodito per le generazioni future.
L’epigrafe sulla facciata del teatro Massimo di Palermo recita così: “L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire”. Oltre alla bellezza, l’arte dovrebbe trasmetterci proprio questo: il voler costruire una società nuova, ricca di valori e di sane aspirazioni. Le parole introduttive alla guida – nate dalla penna del rettore fra Daniele Di Sipio – ricordano, infatti, che noi tutti abbiamo ricevuto una grande eredità e ci viene affidata anche la vocazione di tramandarla ai posteri.
La basilica di San Bernardino, ci ricorda la storia, venne edificata a partire dalla seconda metà del quindicesimo secolo, al fine di custodire le spoglie mortali del santo senese, morto a L’Aquila nel 1444.
Francesco d’Assisi invitava – nel suo tempo – tutti i ministri del culto ad avere molta cura per tutto ciò che riguardava Dio e la preghiera; egli scriveva: «Tutti coloro che amministrano così santi misteri, considerino tra sé, soprattutto chi li amministra illecitamente, quanto siano miserandi i calici, i corporali e le tovaglie sulle quali si compie il sacrificio del corpo e del sangue di lui. E da molti viene collocato e lasciato in luoghi indecorosi, viene trasportato senza nessun onore e ricevuto senza le dovute disposizioni e amministrato agli altri senza discrezione. Anche i nomi e le parole di lui scritte talvolta vengono calpestate, poiché “l’uomo carnale non comprende le cose di Dio” (1Cor 2,14). Non dovremmo sentirci mossi a pietà per tutto questo, dal momento che lo stesso pio Signore si consegna nelle nostre mani e noi l’abbiamo a nostra disposizione e ce ne comunichiamo ogni giorno? Ignoriamo forse che dobbiamo venire nelle sue mani? Orsù, di tutte queste cose e delle altre, subito e con fermezza emendiamoci; e ovunque troveremo il santissimo corpo del Signore nostro Gesù Cristo collocato e lasciato in modo illecito, sia rimosso di là e posto e custodito in un luogo prezioso. Ugualmente, ovunque siano trovati i nomi e le parole scritte del Signore in luoghi sconvenienti, siano raccolte e debbano essere collocate in luogo decoroso» (Fonti Francescane 208-209).
Il concilio Vaticano II scriveva nel 1963: «Fra le più nobili attività dell’ingegno umano sono annoverate, a pieno diritto, le belle arti, soprattutto l’arte religiosa e il suo vertice, l’arte sacra. Esse, per loro natura, hanno relazione con l’infinita bellezza divina che deve essere in qualche modo espressa dalle opere dell’uomo, e sono tanto più orientate a Dio e all’incremento della sua lode e della sua gloria, in quanto nessun altro fine è stato loro assegnato se non quello di contribuire il più efficacemente possibile, con le loro opere, a indirizzare religiosamente le menti degli uomini a Dio» (Sacrosanctum Concilium 122); e ciò a ricordarci che la bellezza – in tutte le sue forme ed espressioni – ci conduce a Dio.
La Conferenza Episcopale Italiana suggeriva, in una Nota pastorale del 1996: «Dal momento che la destinazione all’azione liturgica la qualifica radicalmente, la chiesa non si può considerare una generica opera architettonica. Essa infatti è debitrice della sua conformazione alla relazione che la lega all’assemblea del popolo di Dio che vi si raduna. È l’assemblea celebrante che “genera” e “plasma” l’architettura della chiesa. Chi si raduna nella chiesa è la Chiesa – popolo di Dio sacerdotale, regale e profetico – comunità gerarchicamente organizzata che lo Spirito Santo arricchisce di una moltitudine di carismi e ministeri» (L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica 11). L’intero complesso – l’arte, gli arredi, l’architettura – rimanda a Dio e alla sua opera universale di salvezza; il documento, infatti, prosegue parlando di «simbolo» (12) e di «icona» (13).
Entriamo – dunque – negli edifici di culto e sostiamo in silenzio e in contemplazione; lasciamoci interpellare dalla bellezza e dall’armonia dell’arte. Esse ci faranno entrare nel mistero divino e della persona umana, della storia e del senso dell’esistenza.
Portiamo con noi un insegnamento di san Paolo VI: egli affermava che la custodia del passato è «avere il culto di Cristo, avere il senso della Chiesa, dare a noi stessi, dare a chi verrà la storia del passaggio di questa fase di transitus Domini nel mondo» (Discorso agli Archivisti ecclesiastici, 26 settembre 1963).