Sono uguali ovunque i volti del dolore e della paura di chi viene colpito dal terremoto. E’ a loro e a quanti stanno soffrendo per aver perso persone care a causa dei crolli che voglio essere vicino in queste ore così tragiche e cariche di incertezza. Purtroppo leggendo le cronache e i commenti sul terremoto, oltre all’elogio delle virtù della popolazione colpita, oltre alla stima e all’apprezzamento per l’impegno dei soccorsi, trovo ancora insistite domande e desideri di polemica sulla prevedibilità di questi fenomeni, il malcelato desiderio di veder accusato qualcuno per non aver previsto e provveduto. Rifletto e non trovo spiegazione logica a questa insistenza, se non il fatto che trovare qualcuno da accusare serve a distrarre dal necessario esame su ciò che davvero abbiamo fatto, in tutta Italia, nei decenni passati per tenere conto di vivere in un Paese a forte sismicità.
E’ chiaro infatti che l’intero mondo della ricerca scientifica su questo punto ha chiarito l’impossibilità di fare, in materia di terremoti, qualsiasi previsione utile ad assumere misure di prevenzione immediata.
Mentre è ben nota a tutti che l’unica ricetta da tempo disponibile per ridurre le vittime dei terremoti fino ad azzerarle si chiama prevenzione strutturale, basata sulla mappatura delle caratteristiche sismiche dei nostri territori e sul rispetto di normative antisismiche rigorose sia per le nuove costruzioni che per la messa in sicurezza di quelli esistenti.
Merita forse ricordare che la sismicità delle aree emiliane colpite dall’attività sismica di questi giorni è stata evidenziata soltanto in sede di revisione della mappatura sismica nazionale del 2004, promossa dal Dipartimento della Protezione Civile dopo il sisma che provocò il crollo della scuola di San Giuliano di Puglia. Prima di quella data, e di quella iniziativa contrastata da molti in molte sedi, in Italia era considerato un successo politico riuscire ad ottenere sottostime e sconti in materia di pericolosità sismica per il proprio territorio, perché la normativa antisismica per le costruzioni avrebbe comportato costi maggiori “e quindi” uno svantaggio competitivo con altri territori.
In quella vicenda, ho registrato sostegno e consenso di tanti, ma anche critiche, accuse di indebita ingerenza in questioni non di competenza della Protezione Civile, note negative per la mia insensibilità allo “sviluppo” delle aree sismiche, condannate a costruire a costi maggiori, resistenze a livello di tante Regioni nel recepire la nuova mappatura sismica e le nuove norme per le costruzioni, reazioni incattivite per aver ricordato, in presenza di una ennesima legge finanziaria che non assegnava risorse per la messa in sicurezza antisismica di scuole e strutture, che la prevenzione non paga in termini di consenso elettorale.
A tre anni di distanza dall’ultimo devastante terremoto che ha colpito l’Abruzzo, siamo di nuovo di fronte alla necessità di provvedere all’aiuto di un’altra collettività che ha subito l’offesa di danni devastanti e gravissimi a causa di un sisma, che ha provocato niente di più che il crollo delle strutture non costruite per reggere le sollecitazioni di un terremoto e non messe in sicurezza rispetto alla concretezza di questo rischio ben noto.
Al di là delle decisioni del Governo in favore delle popolazioni colpite, mi farebbe un immenso piacere registrare il sorgere di voci decise a chiedere o meglio a pretendere che le linee dello sviluppo e della ripresa economica che tutti ritengono essenziali abbiano due punti centrali come perno. Il primo, immediato, nell’aiuto esplicito e forte alle imprese fermate dal sisma in Emilia e in tutte le aree del cratere sismico per riprendere immediatamente la produzione, in modo da non mettere queste imprese, da tempo capaci di competere a livelli di eccellenza mondiale, nella condizione di subire anche danni di mercato oltre a quelli ricevuti dal terremoto.
La seconda, di costruire le linee degli investimenti pubblici che il Governo intende farsi autorizzare in Europa in una sola direzione: messa in sicurezza del territorio, degli edifici strategici, delle scuole, delle infrastrutture. Niente “grandi opere”, ma una sola grande opera diffusa e capillare: la messa in sicurezza delle fragilità più pericolose dei nostri territori.
E’ questa l’unica decisione che davvero sarebbe all’altezza del dovere di rendere omaggio, nei fatti, alle vittime di questo terremoto e a quelle dei tanti che l’hanno preceduto.
Insieme all’accendersi di queste voci e di queste richieste, mi piacerebbe anche registrare la fine della abitudine mediatica di cercare la polemica sulla prevedibilità, di mettersi a caccia della cosa che si poteva fare e di chi poteva farla, all’ultimo minuto, per evitare le morti che oggi piangiamo.
C’è ancora, infatti, chi offre visibilità ai presunti ricercatori che si ostinano a dirsi capaci di prevedere i terremoti. C’è ancora oggi chi, come ad esempio Enrico Deaglio sul SecoloXIX, riesce persino a trovare il modo di citarmi a sproposito nei suoi articoli accusandomi di non aver voluto ascoltare l’allarme di chi, dopo il terremoto dell’Aquila, disse di aver previsto tutto e si offese al punto da citarmi in giudizio per aver avuto nei suoi confronti parole poco garbate.
A contraddire il signor Deaglio, per una volta ha provveduto direttamente la magistratura: i giudici hanno voluto darmi ragione, archiviando la querela che il signor Giuliani aveva presentato nei miei confronti per diffamazione. Ebbene sì, stavolta la sentenza di archiviazione emessa dal Tribunale di Pescara segna, per la prima volta da più di due anni, un ribaltamento di giudizio sul mio operato, rispetto a quello di condanna emessa dal tribunale/circo mediatico. Vogliamo vedere quanto spazio i giornali dedicheranno a questa notizia “a mio favore”? Se qualcuno la riporterà, sarà usando una minuscola percentuale delle righe a me dedicate quando si trattava di raccontare di me ogni possibile nefandezza.
Non importa. Mi auguro invece che anche questa sentenza possa aiutare a capire che la via della ricerca del mancato previsore non porta da nessuna parte, mentre è indispensabile che l’attenzione e gli sforzi di tutti si concentrino sui modi e i tempi delle azioni di prevenzione strutturale che da troppo tempo, con una scusa o l’altra, non sono state realizzate.