Le gondole in Abruzzo? Sulla linea ondeggiante delle montagne

Le giornate del progetto “Il Mondo dei Cistercensi” per conoscere il ruolo dei monaci sul territorio di Campo Imperatore e dintorni

di Fausto D'Addario | 24 Settembre 2023 @ 05:19 | I LUOGHI DELLO SPIRITO
gondole abruzzo
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Anche l’Abruzzo ha le sue gondole, ma in questo caso non si tratta delle ben note imbarcazioni a legno, che ondeggiano tra i canali della laguna di Venezia. Le gondole o condole sono architetture di pietra, oggi perlopiù ruderi, testimonianza del mondo monastico dei cistercensi, sparse sul territorio di Campo Imperatore e dintorni. Siamo negli scenari mozzafiato del Parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, uno dei più estesi d’Italia e con una biodiversità tra le più ricche d’Europa, coperto da un manto di praterie e distese sconfinate, dove lo sguardo si perde all’orizzonte. Nei secoli passati qui si concentravano forti poteri economici grazie ai tratturi, che conducevano una marea di greggi fino al Tavoliere delle Puglie. Ma qui si coltivava anche la terra, fino a quota 1600 m, una terra nera e fertile, che dava apprezzatissimi – ancora oggi – prodotti, come le lenticchie. Il tempo si è fermato al tempo che fu tra balze, valloncelli e crinali e lo si respira in ogni angolo.

Chi si addentra da Santo Stefano di Sessanio, in provincia dell’Aquila, per andare alla ricerca delle tracce lasciate dalle genti di montagna, farà la scoperta di caratteristiche strutture architettoniche in pietra a secco. Sono le “locce” e le “condole”. Le locce appaiono come delle grotte che si inoltrano nella terra, scavate sui pendii delle colline. Quando si avvistano da lontano, spuntano come buchi dalla forma irregolare nel terreno, verde con un architrave a protezione dell’ingresso. Erano fondamentali per i pastori e le greggi, perché fungevano da ripari per le lunghe nottate estive fuori casa e da depositi per attrezzi e provviste. Si trovano anche in altre zone del Gran Sasso, nei dintorni di Filetto, Barisciano e Santo Stefano di Sessanio, ma è nel Piano delle Locce – da cui il nome – che se ne vedono di più. I più curiosi, muniti di torcia, si renderanno conto che, nonostante l’angusto ingresso, sono all’interno inaspettatamente ampie, provviste di corridoi, rudimentali stanze e prese d’aria.

Se le locce erano destinate ai pastori, le gondole o condole erano probabilmente le abitazioni dei monaci. Si trattava di edifici più strutturati e da qui i cistercensi dirigevano le attività sul posto. Le condole, a pianta rettangolare, avevano due piani: quello inferiore era interrato, mentre il piano superiore era adibito ad abitazione e voltato a botte. Del resto nei periodi più freddi le condizioni climatiche si facevano proibitive e monaci e lavoratori dovevano per forza scendere alle condole, in abitazioni più modeste. Alcuni toponimi dei luoghi circostanti ricordano ancora la presenza dei monaci: Valle dei Monaci e Fossa del Frate. L’attività economica dei cistercensi si fondava sulla realizzazione delle cosiddette grange, sia monasteri, sia vere e proprie aziende gestite dai monaci. Il termine viene latino e indicava il luogo dove si conservava il grano, ma più in generale il complesso degli edifici costituenti la struttura agricola, attorno alla quale si allineavano abitazioni, magazzini, officine e stalle. Tutto secondo il dettato della regola benedettina, per cui il necessario doveva essere prodotto nell’area del monastero.

Abbiamo citato più volte i monaci cistercensi, ma chi erano esattamente? La riforma dei cistercensi veniva da lontano, dalla Francia, precisamente da Cîteaux in Borgogna, in latino Cistercium, abbazia fondata nel 1098. La nuova sensibilità spirituale era fondata sul desiderio di solitudine, sull’obbligo del lavoro manuale e sulla forte centralizzazione. L’ordine, infatti, si organizzò ben presto in una ramificazione di case, le cosiddette filiazioni: così a poco a poco sorsero nuove abbazie in tutta Europa o vennero riformate quelle già esistenti, ma in decadenza. Nel 1140 nell’Abruzzo torna la pace con la conquista normanna e questa stabilità politica favorì l’insediamento dei monaci cistercensi, che subito intuirono le potenzialità economiche della transumanza. I quattro poli della presenza cistercense in Abruzzo furono le abbazie di Santa Maria di Casanova, dei Santi Vito e Salvo, di Santa Maria Arabona e di Santa Maria della Vittoria, centri da cui si svilupparono lunghe reti di dipendenze, proprio come osserviamo negli insediamenti dell’Altopiano delle Locce.

Ai margini del vasto altopiano sorgeva la chiesa di Santa Maria ai Carboni, dipendenza di Santa Maria di Casanova (a Villa Celiera, in provincia di Pescara), che fu il primo impianto cistercense in Abruzzo. Con Santa Maria ai Carboni, attorno alla quale erano sorti piccoli villaggi agro-pastorali, si consolidava la presenza cistercense nell’area del Gran Sasso.

Oggi di questa struttura rimane poco: l’edificio originario, risalente alla fine del XII secolo, venne ampliato e riadattato all’uso per pastori e contadini. Sono ancora leggibili la piccola cappella e le rovine del suo altare, esposte al cielo e all’intemperie, ma resta solo la parte inferiore dell’originaria struttura.

Un altro spettacolare insediamento monastico, inserito nello scenario di Campo Imperatore, è quello di Santa Maria del Monte, grangia cistercense che dovette funzionare come un grande centro di smistamento del bestiame. Era un vero e proprio monastero, con lo spazio dedicato alla preghiera, oltre agli alloggi dei lavoratori e ai luoghi di produzione. Ubicato a circa 1600 metri, costituiva un punto strategico: da qui le greggi raggiungevano il Tratturo Magno, passando attraverso insediamenti fortificati come Rocca Calascio o Santo Stefano di Sessanio. Il professore Alessandro Clementi così descrive il sito: “sono ancora visibili intorno ai ruderi di S. Maria del Monte ampissimi ‘mandroni’, ovverossia stazzi permanenti costituiti da recinti in muro a secco, strettamente connessi allo stabile della grancia. La stessa grancia, per quanto ne è ancora visibile, sembra ripetere il tipo edilizio della masseria, con ampi fondaci e stalle; le sue dimensioni, imponenti se messe in relazione con l’altitudine e con la mancanza di strade, testimoniano di uno sforzo razionale di bonifica che trova soltanto pochi altri esempi analoghi in tutto il massiccio”.

La transumanza è stata la spina dorsale di molta parte dell’economia dell’Italia meridionale, un’attività che ha lasciato nei secoli tracce indelebili: storie, borghi, migrazioni, personaggi, paesaggi, architetture e archeologia. A visitare questi luoghi non si può non essere colti da un velo di nostalgia, resa eterna dalla penna di Gabriele D’Annunzio, in quel suo rituale incedere di greggi e pastori.


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