con Maura Scarcella – * Per approfondimenti e sviluppi vedere la relazione di Antonio Calfati et al. nell’ambito dello studio promosso dal Ministro della Coesione Territoriale.
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L’Aquila è frutto di un sinecismo con cui i molti insediamenti dispersi nel territorio, nel corso del XIII secolo, si diedero un centro di rappresentanza e riferimento in cui commerciare che – non a caso – prevedeva fin dal principio una parte intra moenia di propria pertinenza.
Per questo i 99 castelli che diedero luogo alla sua formazione corrisponderebbero (secondo la leggenda) alle 99 chiese, alle 99 piazze ed alle 99 fontane.
Ed appunto il momumento delle 99 cannelle, con i 99 mascheroni che versano acqua in una vasca comune, ne è la più fulgida rappresentazione simbolica.
Originariamente L’Aquila non era né uno qualsiasi dei centri né un centro esterno al sistema policentrico bensì ne era parte – primus inter pares – centro di rappresentanza e convergenza. L’Aquila era ciò che legava il territorio altrimenti a rischio disgregazione. Con il passare del tempo e soprattutto negli ultimi anni questo ruolo è venuto meno e, soprattutto, non si è confermato nel post-sisma 2009 avendo assunto, i piccoli Comuni, in alcuni frangenti, un ruolo addirittura antagonista alla città.
La compromissione per parti.
Il policentrismo storico sopravvissuto fino agli anni ’50 del secolo scorso aveva lasciato solo parzialmente il posto ad una espansione della città dalla doppia natura: verso ovest una periferia continua, quella di Pettino, che forma la coda di una cometa il cui nucleo è dato dal centro storico della città; verso est una sorta di ruralità urbanizzata in modo pulviscolare assimilabile alla chioma della cometa.
Per il resto il territorio aquilano aveva mantenuto il suo policentrismo con un paio di notevoli rafforzamenti nei centri di Pile e di Bazzano a causa della localizzazione, ivi, dei Nuclei Industriali.
La compromissione distributiva.
Nel 2009 la localizzazione del progetto CASE, nella sua prossimità con alcune frazioni, ha avuto importanti ripercussioni urbanistiche, non tanto e non solo deviando dal policentrismo quanto innescando un processo centrifugo, inverso a quello del 1254. Il progetto CASE ha, infatti, determinato uno spostamento di pesi da L’aquila verso i centri più esterni del sistema da cui si è innescata una corsa infrastrutturale a servizio di questa periferia in fieri.
La compromissione diffusiva.
Ciò che sta maggiormente compromettendo il sistema policentrico portandolo, nella sua fase attuale, verso la condizione di transizione tra policentrismo e città diffusa/continua è la proliferiazione di abitazioni ed attività economiche – di fatto permesse dalla Delibera 58/09 del Comune dell’Aquila – su suoli non edificabili. Ciò va ad aggiungersi alla saturazione di aree edificabili da PRG (1975) periferiche fino ad ora non aggredite da una tale richiesta centrifuga, come già detto innescata anche e soprattutto dall’enorme richiesta, visto l’alto numero di abitazioni ancora inagibili, della localizzazione del progetto CASE e delle conseguenti facilitazioni infrastrutturali.
A tal proposito va segnalata, inoltre, la recente decisione del comune dell’Aquila di attribuire un indice di edificabilità anche per le aree a vincolo decaduto.
Tutto sembra convergere verso una totale saturazione del territorio.
In più la possibilità di ottenere “abitazione equivalente” ufficialmente prospettata ai proprietari di abitazioni in immobili con ordinanza di demolizione (che nella pratica sembra essere estesa a tutti i proprietari di abitazioni ricadenti in immobili per i quali si dimostri la necessità tecnica o la convenienza economica di demolizione) incentiva il decentramento degli abitanti del centro città, contribuendo alla crescente richiesta di abitazioni periferiche, al consumo di suolo già in atto e alla diffusione insediativa.
Oggi L’Aquila è un’altra città anche rispetto a quella del 5 aprile 2009 che, nonostante quanto avvenuto dagli anni ’50 in poi, riusciva ancora a mantenere la sua identità policentrica dalle forti connotazioni del centro città e di alcune frazioni principali.
Il centro dell’Aquila, in particolare, era capace di garantire in se stesso un funzionamento per spazi brevi nella sua densità materica, residenziale, terziaria, monumentale.
Lo spazio “tra” i centri consentiva a ciascuno di essi l’immersione nella natura, seppur non sempre e non adeguatamente colta come opportunità urbana.
Tutto ciò, insieme al fascino di vivere in centri storici dall’elevata qualità architettonica (sia dei monumenti che dell’edilizia), pur se in assenza di vivacità economica, consentiva alla conca aquilana di risultare ancora in qualche misura attrattiva per l’alta qualità di vita che offriva.
L’Aquila, dunque, era ancora in vita grazie alla sua forma urbana territoriale, pressoché la stessa del 1254, nonostante la crisi economica avanzata.
La sua recente compromissione formale è ciò che più rischia di decretarne la fine.
Detto che la forma originaria non sarà più raggiungibile e che la forma insediativa ha segnato nella storia aquilana la fortuna anche nei momenti più bui, verso quale forma di città si vuole condurla questa volta? Secondo quale idea di città?
Detto che la dispersione insediativa ormai è una realtà, come riconnettere fra loro le estremità di questa nuova città/territorio? E come collegarle con il centro città? Esiste un lungo fiume pressochè coincidente con la linea ferroviaria, abbandonato ed incolto il primo, decisamente sotto-utilizzata la seconda. Ha senso riqualificare il lungo fiume, trasformandolo in nuovo luogo di socialità per la città e potenziare la ferrovia nel suo tratto urbano che va da Paganica a Pizzoli, con lo scopo di collegare le nuove estremità di questa città esplosa?
Detto che l’auspicio è quello di far ripartire il centro storico nel più breve tempo possibile in modo che la gente non perda l’amore e l’abitudine di viverlo, quale la visione urbanistica per la riorganizzazione della porzione intra-moenia?
Detto che un buon numero di edifici di edilizia spesso qualitativamente molto scadente, per ragioni diverse, verranno demoliti/ricostruiti, come evitare di ripetere gli errori del recente passato che hanno prodotto le attuali periferie italiane? Come indirizzare la città verso una nuova cultura architettonica?