Foreste, abbiamo una buona legge regionale ma è totalmente disapplicata
di Alessio Ludovici | 19 Agosto 2020 @ 06:10 | AMBIENTEL’AQUILA – Abbiamo una buona legge regionale in materia di tutela forestale, ma a sei anni dall’entrata in vigore è quasi totalmente disattesa. E’ stata approvata a fine 2013 ed è entrata in vigore a inizio 2014, è la numero 3 del 2014, il nostro testo unico regionale in materia. Al momento se ne parla poco o nulla eppure dovrebbe importare e molto.
Se ne parla poco o nulla perché a tenere banco sono le discussioni più mediatiche legate alla cronaca degli eventi, dall’ordinanza richiesta dai Vigili del Fuoco al sindaco Biondi o le richieste di messa in sicurezza della montagna o di rimboschimenti, richieste che prima di essere messe in piazza bisognerebbe pensarci non due ma cento volte visto che secondo molti addetti ai lavori hanno l’unico effetto di alimentare gli appetiti sulla montagna, gli incendi ecc. Sono cose comunque di cui sarà necessariamente chi ne ha competenza a dover parlare, valutando caso per caso lo stato dei luoghi e quando sarà il tempo, cioè non prima comunque della prossima primavera, la capacità rigenerativa del bosco. Non una parola al momento si è levata, invece, sulla situazione delle nostre politiche forestali.
Con la “Legge organica in materia di tutela e valorizzazione delle foreste, dei pascoli e del patrimonio arboreo della regione Abruzzo” del 2014 veniva finalmente superato un vuoto normativo che veniva da lontano e relegava la gestione delle foreste a regi decreti e leggi nazionali o regionali vecchie di decenni.
Il nuovo quadro normativo affidava finalmente tutte le politiche forestali ad un unico servizio a livello regionale. Questo avrebbe dovuto e potuto garantire un’azione coordinata, continuativa ed uniforme sull’intero territorio regionale al fine promuovere la tutela e valorizzazione sostenibile del nostro immenso e complesso patrimonio boschivo. Le cose, dopo l’approvazione, sono andate diversamente. I primi colpi alla nuova normativa sono arrivati già in fase di riorganizzazione degli uffici. Già gli atti organizzativi degli uffici regionali del 2015, la Dgr 403 ad esempio, hanno di fatto smembrato i nuovi uffici regionali menomandone competenze e prerogative.
Agli uffici dei Servizi tecnici per l’Agricoltura, infatti, venivano assegnate competenze che la legge affidava ai servizi forestali, così ad esempio, la monta bovina, i tagli forestali, persino gli usi civici finivano negli uffici regionali dedicati all’agricoltura. Non è andata molto meglio con la riorganizzazione del 2020 che se non altro ha riportato dentro il servizio gli “adempimenti in materia di Usi civici e Tratturi”, in collaborazione con i Servizi per l’agricoltura competenti per territorio, e la gestione dei vivai regionali. Rimangono tuttora sparse negli uffici per l’agricoltura tante specifiche competenze degli uffici forestali: dal taglio dei boschi a un generico “tutela della flora”, le migliorie boschive, ecc. Di certo non un modo esemplare di andare a costruire una moderna ed efficiente amministrazione forestale regionale, sulla scorta di quella di altri paesi e anche di altre regioni italiane. A indebolire ulteriormente la nostra amministrazione forestale la carenza di finanziamenti. Del milione e rotti, inizialmente stanziato con l’approvazione della legge, non è rimasta praticamente traccia, e l’unico canale vero di finanziamento sono i fondi del Piano di sviluppo rurale, in ogni caso spicci rispetto al budget complessivo di un Psr e totalmente insufficienti per far fronte alle competenze del settore.
Ma sono ancora più evidenti l’assenza, a sei anni dall’approvazione, di specifiche prescrizioni del piano, che la Giunta e il Consiglio regionale dovevano adottare. La Consulta forestale, ad esempio, che doveva essere uno strumento di raccordo e confronto con gli altri attori del mondo forestale, dalla polizia ambientale allora Cfs, alle Università, dagli agrotecnici ai dottori forestali, dai Comuni alle associazioni ambientaliste. La Consulta non è stata mai mai istituita. Identica sorte per il Regolamento per la tutela e la gestione dei sistemi silvo-pastorali, le norme attuative della legge in cui dovevano essere esplicitate le modalità tecniche e le procedure amministrative per la gestione di boschi e pascoli, per l’utilizzazione dei boschi cedui e delle fustaie, per la gestione dei boschi degradati, per i diradamenti o altri interventi silvicolturali, per la viabilità e le opere connesse e financo per le utilizzazioni. Le bozze di regolamento sono state realizzate ma la Giunta regionale non ha mai provveduto a trasmetterle al Consiglio regionale per la conseguente discussione e approvazione.
Emblematica la sorte del Titolo terzo della Legge che è totalmente dedicato alla Pianificazione e Programmazione e che era se vogliamo il cuore della legge. Ebbene a distanza di sei anni la Regione non ha ancora approvato il suo Piano regionale forestale. La legge imponeva poi ai comuni di dotarsi dei Piani forestali di Indirizzo territoriale e la realizzazione dei piani di gestione dei singoli boschi. Si metteva infine mano alle attività di cooperative e ditte forestali. Il tutto finalmente avrebbe permesso una gestione più razionale e coordinata del patrimonio boschivo regionale. La legge rispondeva ad una esigenza reale, attuale e che sarà sempre più attuale alla luce dei mutamenti climatici in atto.
La gestione del patrimonio demaniale forestale abruzzese non può limitarsi alla sola emergenza. Parliamo di 400mila ettari di bosco (la metà circa nella sola provincia dell’Aquila), di cui 7mila di pinete artificiali, frutti di vari programmi di rimboschimenti dello scorso secolo o addirittura di quello precedente.
Che la vera emergenza sia la gestione delle foreste più che lo spegnimento degli incendi lo dicono anche le istituzioni sovranazionali e gli organismi scientifici. I mutamenti climatici sono una spada di Damocle che pende soprattutto, per il momento, sulle foreste mediterranee che svolgono una funzione essenziale, riconosciuta anche con il Regolamento Ue 841 del 2018 che affida alle foreste parte essenziale degli obiettivi di riduzione delle emissioni. La strategia, infatti, è che ogni paese sia quanto meno neutrale in fatto di emissioni, e le capacità delle foreste di trattenere c02 è chiaramente uno dei pilastri dell’azione. Un’amministrazione forestale efficiente e ben sovvenzionata permetterebbe davvero di fare quel lavoro di gestione del patrimonio che è la sola vera arma contro gli incendi boschivi. Se la politica, e la cittadinanza, vogliono davvero dare un contributo bisognerebbe riflettere sulle occasioni mancate in questi 6 anni. I comuni del resto sono sempre più dimagriti, e sempre più deboli di fronte alle pressione di utilizzazione indiscriminata, ma d’altro canto sempre più in difficoltà a gestire un patrimonio molto vasto e molto meno utilizzato di un tempo. Figuriamoci, allora, che fine potranno fare le nostre pinete. L’attenzione all’ “emergenza” è sicuramente più appetibile mediaticamente per la politica, ma inefficace come abbiamo visto dopo il Morrone. Anzi, il rischio è che parole d’ordine come messa in sicurezza, riforestazione, emergenza non faranno altro che attirare nuove interessi criminali o di disperdere ulteriormente le poche, vere, risorse a disposizione.
ph. di Francesco D’Eramo